Vacanze all’estero dipendente, obbligo isolamento: licenziamento legittimo

Andare in ferie all’estero, in piena pandemia, con l’obbligo dell’isolamento fiduciario al rientro in Italia è una scelta azzardata che può costare addirittura il posto di lavoro.

Respinta l’opposizione di una operaia di una impresa di pulizie.

Fatale per la donna l’avere compiuto una vacanza all’estero, nell’agosto del 2020, e l’essere stata poi costretta, una volta rientrata in Italia, a porsi in isolamento fiduciario per quattordici giorni, non tornando così al lavoro alla data prevista.

(Tribunale di Trento, sez. Lavoro, ordinanza del 21 gennaio 2021)

I Fatti

All’origine della vicenda giudiziaria la comunicazione con cui l’azienda, il 9 settembre del 2020, ufficializza alla dipendente – operaia con contratto a tempo indeterminato e part-time – «il licenziamento per giusta causa», una volta preso atto del suo mancato rientro in servizio, previsto invece il 20 agosto.

L’azienda, che contesta alla lavoratrice «una gravissima violazione dell’obbligo di correttezza e buona fede nel rapporto di lavoro», avendo omesso di «comunicare e giustificare la sua assenza» e avendo posto in essere «condotte di gravissimo rilievo disciplinare in relazione al rapporto di lavoro, oltreché con riflessi in ambiti esterni a quello lavorativo».

Alla lavoratrice viene in particolare fatto presente che «non presta la sua attività dal 9 luglio», avendo usufruito di quasi venti giorni di “congedo COVID” a luglio, sommati a tre giorni di “permesso” grazie alla legge 104, e poi essendo andata in ferie all’estero per due settimane ad agosto, a cui poi si sono aggiunti altri tre giorni di “permesso” garantiti dalla 104, cinque giorni di “malattia bambino”, un giorno di malattia e, infine, «l’assenza per quarantena fino al 9 settembre».

 Il datore di lavoro sottolinea il fatto che la dipendente si è recata in vacanza all’estero «nonostante i ben noti divieti e i rischi relativi agli spostamenti e nonostante gli altresì ben noti obblighi di quarantena e isolamento fiduciario conseguenti», disinteressandosi quindi completamente, secondo l’ottica dell’impresa, «dei problemi organizzativi creati all’azienda, visti anche l’emergenza sanitaria in essere e il periodo interessato (pieno periodo estivo)».

Per la società, la dipendente «è tenuta a verificare gli adempimenti a suo carico connessi a eventuali spostamenti effettuati all’estero, adempimenti previsti da norme e decreti e correlati provvedimenti integrativi e attuativi, tanto nazionali quanto locali, riguardanti obblighi e divieti a carico di chiunque abbia soggiornato ossia transitato in Paesi esteri», mentre, invece, la decisione di andare in vacanza fuori dall’Italia, nonostante la pandemia, è ritenuta «incompatibile con la condotta di diligenza, correttezza e buonafede richiesta nel rapporto di lavoro» e gravissima poiché «causava pesanti problemi organizzativi e grave nocumento all’azienda».

 La lavoratrice, invece, sostiene la tesi del «licenziamento illegittimo».

 Nessun dubbio sui dettagli del periodo di inattività della donna.

Ella «ha richiesto e ottenuto di poter fruire di un periodo di ferie dal 3 al 16 agosto 2020; in tale periodo ella si è recata in Albania; al suo ritorno in Italia (avvenuto il giorno 27 agosto, avendo fruito dei “permessi” ex legge 104 per tre giorni e avendo richiesto di godere del congedo per “malattia bambino” per cinque giorni) non ha potuto rientrare immediatamente al lavoro, dovendo osservare il prescritto periodo di isolamento fiduciario per quattordici giorni, fino al 9 settembre».

A fronte di questo quadro, la donna sostiene che «al momento della partenza il divieto degli spostamenti all’estero era decaduto da più di due mesi. Pertanto, nessuna negligenza può essere imputata a lei che si trovava già all’estero al momento della reintroduzione di tali limitazioni e che ha potuto apprendere di doversi sottoporre ad isolamento domiciliare al rientro solo dopo averne ricevuto comunicazione dal datore di lavoro, che l’ha sollecitata a contattare l’autorità sanitaria».

La decisione del Giudice del Lavoro 

Il Giudice del Lavoro evidenzia come già a fine luglio del 2020 veniva confermata la validità del D.P.C.M. di metà luglio che richiamava e ribadiva l’operatività delle misure adottate l’11 giugno, inclusa quella con cui si stabiliva che «le persone che fanno ingresso in Italia, anche se asintomatiche, sono obbligate a comunicarlo immediatamente al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio e sono sottoposte alla sorveglianza sanitaria e all’isolamento fiduciario per un periodo di quattordici giorni presso l’abitazione o la dimora preventivamente indicata all’atto dell’imbarco».

 Conseguentemente secondo il Giudice del Lavoro «nel momento in cui si recò in Albania per trascorrere le proprie ferie, dal 3 al 16 agosto 2020, la lavoratrice era o comunque doveva essere pienamente consapevole che al suo rientro in Italia non avrebbe potuto ritornare al lavoro immediatamente al termine del periodo feriale, dovendo osservare, per il fatto di essersi recata in Albania, un periodo di quattordici giorni in isolamento fiduciario».

 Ciò significa che «ella si è posta, per propria responsabilità, in una situazione di impossibilità di riprendere il lavoro alla data prescritta, ossia subito dopo la fine del periodo di ferie», e quindi «la sua assenza dal lavoro per quattordici giorni, seppur dovuta alla necessità di adempiere l’obbligo pubblicistico di isolamento fiduciario, non può considerarsi giustificata», poiché, chiarisce il Giudice, «la lavoratrice avrebbe ben potuto evitare di trovarsi assoggettata a detto obbligo, astenendosi dall’effettuare il viaggio in Albania durante il periodo feriale».

 Il Giudice chiarisce anche che esigere che la lavoratrice evitasse il viaggio all’estero «non costituisce un’illegittima limitazione all’esercizio del diritto di fruire delle ferie.

Basti pensare che il soddisfacimento delle esigenze di sanità pubblica, sottese alla necessità di contrastare la perdurante situazione di pandemia, ha comportato per ampi strati della popolazione residente in Italia il sacrificio di numerosi diritti della personalità, in particolare di libertà civile, anche tutelati a livello costituzionale».

 Pertanto «la condotta della lavoratrice, consistita nel porsi colpevolmente nella necessità di rimanere assente dal lavoro per quattordici giorni, integra una giusta causa di licenziamento», conclude il Giudice.

Decisivo in questa ottica il riferimento alla «durata dell’assenza» e alle «conseguenti disfunzioni che sono verosimilmente derivate in pregiudizio dell’organizzazione dell’attività produttiva esercitata dalla società datrice di lavoro», e, infine, alla «noncuranza che la lavoratrice ha manifestato nei confronti delle esigenze dell’azienda datrice alle quali ha manifestamente anteposto i propri interessi personali».

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Avv. Francesco Pavan

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