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Pavan & Girotto Studio Legale

Pavan & Girotto Studio Legale

Fondato nel 1982 dall'Avv. Giorgio Pavan, dal 1994 diviene Studio Associato.

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PEDOPORNOGRAFIA: IL FUMETTO PUO' ESSERE MATERIALE PORNOGRAFICO

Catalogabile come detenzione di materiale pedopornografico anche il possesso di fumetti che rappresentano chiaramente rapporti sessuali tra adulti e minorenni. Indubbia la rilevanza penale di disegni, pitture e tutto ciò che sia idoneo a dare allo spettatore l’idea che l’oggetto della rappresentazione pornografica sia un minore.

Cass. pen., sez. III, ud. 18 ottobre 2023 (24 novembre 2023), n. 47187

A finire sotto processo è un uomo trovato in possesso, tra l'altro, di fumetti riproducenti rapporti sessuali incestuosi tra adulti e minorenni e di due fotografie ritraenti minorenni che mostrano le parti intime.
Secondo i Giudici di merito il quadro probatorio è inequivocabile; prima in Tribunale e poi in Corte d'appello è stata sancita la condanna dell'uomo poiché ritenuto colpevole di detenzione di materiale pedopornografico.
Nel ricorso in Cassazione, però, la difesa fa leva sui fumetti e sui manga rinvenuti in possesso dell'uomo.
Su questo punto, in particolare, secondo la difesa è stata accolta in Appello «una nozione di pornografia virtuale» che supera quella contenuta nel Codice penale. Infatti, il reato p.p. ex art. 600-quater c.p. sanziona chi «detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni 18», reato questo mai contestato secondo la difesa, poiché «le immagini in possesso dell'uomo non potevano indurre alcuno a ritenere reali le situazioni rappresentate».
Per Giudici di Cassazione, però, le obiezioni difensive miranti a mettere in dubbio la condanna dell'uomo sotto processo, sono assolutamente fragili.
In prima battuta viene sottolineato il peso specifico delle due fotografie possedute dall'uomo che raffiguravano, senza ombra di dubbio, «giovani ragazze, poco più che bambine, che mostrano le parti intime: la statura, il volto, i caratteri sessuali appena accennati (lo sviluppo mammario e pilifero) sono elementi rivelatori del fatto che si tratta di soggetti di età ampiamente inferiore ai 18 anni».
Per quanto concerne, poi, fumetti e manga, i magistrati ribadiscono che va conferita rilevanza penale «non solo alla riproduzione reale del minore in una situazione di fisicità pornografica, ma anche a disegni, pitture e tutto ciò che sia idoneo a dare allo spettatore l'idea che l'oggetto della rappresentazione pornografica sia un minore». Impossibile, quindi, mettere in discussione la decisione di condanna «sia per i fumetti, sia per le illustrazioni di un racconto erotico raffiguranti minori impegnati in atti incestuosi o altre attività sessuali».
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PEDOPORNOGRAFIA: IL FUMETTO PUO ESSERE MATERIALE PORNOGRAFICO

Catalogabile come detenzione di materiale pedopornografico anche il possesso di fumetti che rappresentano chiaramente rapporti sessuali tra adulti e minorenni. Indubbia la rilevanza penale di disegni, pitture e tutto ciò che sia idoneo a dare allo spettatore l’idea che l’oggetto della rappresentazione pornografica sia un minore.

Cass. pen., sez. III, ud. 18 ottobre 2023 (24 novembre 2023), n. 47187

A finire sotto processo è un uomo trovato in possesso, tra laltro, di fumetti riproducenti rapporti sessuali incestuosi tra adulti e minorenni e di due fotografie ritraenti minorenni che mostrano le parti intime. 
Secondo i Giudici di merito il quadro probatorio è inequivocabile; prima in Tribunale e poi in Corte dappello è stata sancita la condanna delluomo poiché ritenuto colpevole di detenzione di materiale pedopornografico. 
Nel ricorso in Cassazione, però, la difesa fa leva sui fumetti e sui manga rinvenuti in possesso delluomo. 
Su questo punto, in particolare, secondo la difesa è stata accolta in Appello «una nozione di pornografia virtuale» che supera quella contenuta nel Codice penale. Infatti, il reato p.p. ex art. 600-quater c.p. sanziona chi «detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni 18», reato questo mai contestato secondo la difesa, poiché «le immagini in possesso delluomo non potevano indurre alcuno a ritenere reali le situazioni rappresentate». 
Per Giudici di Cassazione, però, le obiezioni difensive miranti a mettere in dubbio la condanna delluomo sotto processo, sono assolutamente fragili.
In prima battuta viene sottolineato il peso specifico delle due fotografie possedute dalluomo che raffiguravano, senza ombra di dubbio, «giovani ragazze, poco più che bambine, che mostrano le parti intime: la statura, il volto, i caratteri sessuali appena accennati (lo sviluppo mammario e pilifero) sono elementi rivelatori del fatto che si tratta di soggetti di età ampiamente inferiore ai 18 anni». 
Per quanto concerne, poi, fumetti e manga, i magistrati ribadiscono che va conferita rilevanza penale «non solo alla riproduzione reale del minore in una situazione di fisicità pornografica, ma anche a disegni, pitture e tutto ciò che sia idoneo a dare allo spettatore lidea che loggetto della rappresentazione pornografica sia un minore». Impossibile, quindi, mettere in discussione la decisione di condanna «sia per i fumetti, sia per le illustrazioni di un racconto erotico raffiguranti minori impegnati in atti incestuosi o altre attività sessuali».

LEGITTIMO IL RIFIUTO DEL CONDUCENTE DI SOTTOPORSI ALL'ALCOLTEST CON PRELIEVO DEL SANGUE

La Suprema Corte ricorda la possibilità di procedere all'accertamento del tasso alcolemico in ambito sanitario subordinatamente a due precisi presupposti uno dei quali non presente nel caso sottoposto al suo giudizio.

Cass. pen., sez IV, ud. 26 ottobre 2023 (dep. 22 novembre 2023), n. 46861

La Corte d'appello confermava la responsabilità dell'odierno ricorrente, decisa dal Tribunale, per il reato di cui all'art. 186 comma 7 c.d.s. perché, in qualità di conducente sottoposto a controllo su strada, rifiutava di sottoporsi agli accertamenti di cui ai commi 3, 4, 5 del medesimo art. 186.
Il ricorrente contesta la risposta che la Corte territoriale ha fornito al motivo relativo all'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato poiché non ha rifiutato di sottoporsi agli accertamenti preliminari e nemmeno all'alcoltest su strada o presso il più vicino comando di polizia (come previsto dall'art. 186 c.d.s., comma 4), bensì solo a quello di sottoporsi a prelievo di liquido biologico presso una struttura sanitaria, peraltro motivando di avere paura degli aghi, non ricorrendo uno dei due presupposti di legge di cui all'art. 186 c.d.s., comma 5.
L'imputato aveva sì provocato un incidente stradale, ma al contempo non necessitava di cure mediche.

La Corte di legittimità ha ribadito come, nel giudicare fattispecie sovrapponibili al caso in questione, costantemente abbia affermato che: «non integra il reato di cui all'art. 186 c.d.s., comma 7, il rifiuto del conducente di un veicolo di sottoporsi ad accertamenti del tasso alcolemico mediante prelievo di liquido biologico presso un ospedale, non trattandosi di condotta tipizzata dal combinato disposto dei commi 3, 4, 5 e 7 di detto articolo che punisce il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti mediante etilometro, a quelli preliminari tramite "screening," e a quelli svolti su richiesta della polizia giudiziaria dalle strutture sanitarie alle cui cure mediche siano sottoposti i conducenti coinvolti in sinistri stradali» (Sez. 4, n. 10146 del 15/12/2020 dep. 2021, Mingarelli, Rv. 280953; conf. Sez. 4, n. 46148 del 15/10/2021, Novelli, Rv. 282302).

Incontrovertibile è pertanto la possibilità di procedere all'accertamento del tasso alcolemico ricorrendo due presupposti precisi: il coinvolgimento dei conducenti in incidenti stradali e il loro bisogno di cure mediche.
Nel caso de quo si era verificato l'incidente stradale ascrivibile alla condotta dell'imputato, ma non risultava che lo stesso avesse necessità di sottoporsi a cure mediche.
In conseguenza, la richiesta rivoltagli dalle forze dell'ordine (che non disponevano dell'etilometro perché in revisione) di recarsi presso la vicina struttura sanitaria per sottoporsi al test, era illegittima e il rifiuto opposto motivato anche dalla paura degli aghi così come confermato da un teste in sede dibattimentale, penalmente irrilevante.
La Cassazione annulla dunque senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
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LEGITTIMO IL RIFIUTO DEL CONDUCENTE DI SOTTOPORSI ALLALCOLTEST CON PRELIEVO DEL SANGUE

La Suprema Corte ricorda la possibilità di procedere allaccertamento del tasso alcolemico in ambito sanitario subordinatamente a due precisi presupposti uno dei quali non presente nel caso sottoposto al suo giudizio.

Cass. pen., sez IV, ud. 26 ottobre 2023 (dep. 22 novembre 2023), n. 46861

La Corte dappello confermava la responsabilità dellodierno ricorrente, decisa dal Tribunale, per il reato di cui allart. 186 comma 7 c.d.s. perché, in qualità di conducente sottoposto a controllo su strada, rifiutava di sottoporsi agli accertamenti di cui ai commi 3, 4, 5 del medesimo art. 186. 
Il ricorrente contesta la risposta che la Corte territoriale ha fornito al motivo relativo allinsussistenza dellelemento oggettivo del reato poiché non ha rifiutato di sottoporsi agli accertamenti preliminari e nemmeno allalcoltest su strada o presso il più vicino comando di polizia (come previsto dallart. 186 c.d.s., comma 4), bensì solo a quello di sottoporsi a prelievo di liquido biologico presso una struttura sanitaria, peraltro motivando di avere paura degli aghi, non ricorrendo uno dei due presupposti di legge di cui allart. 186 c.d.s., comma 5. 
Limputato aveva sì provocato un incidente stradale, ma al contempo non necessitava di cure mediche.

La Corte di legittimità ha ribadito come, nel giudicare fattispecie sovrapponibili al caso in questione, costantemente abbia affermato che: «non integra il reato di cui allart. 186 c.d.s., comma 7, il rifiuto del conducente di un veicolo di sottoporsi ad accertamenti del tasso alcolemico mediante prelievo di liquido biologico presso un ospedale, non trattandosi di condotta tipizzata dal combinato disposto dei commi 3, 4, 5 e 7 di detto articolo che punisce il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti mediante etilometro, a quelli preliminari tramite screening, e a quelli svolti su richiesta della polizia giudiziaria dalle strutture sanitarie alle cui cure mediche siano sottoposti i conducenti coinvolti in sinistri stradali» (Sez. 4, n. 10146 del 15/12/2020 dep. 2021, Mingarelli, Rv. 280953; conf. Sez. 4, n. 46148 del 15/10/2021, Novelli, Rv. 282302).

Incontrovertibile è pertanto la possibilità di procedere allaccertamento del tasso alcolemico ricorrendo due presupposti precisi: il coinvolgimento dei conducenti in incidenti stradali e il loro bisogno di cure mediche. 
Nel caso de quo si era verificato lincidente stradale ascrivibile alla condotta dellimputato, ma non risultava che lo stesso avesse necessità di sottoporsi a cure mediche. 
In conseguenza, la richiesta rivoltagli dalle forze dellordine (che non disponevano delletilometro perché in revisione) di recarsi presso la vicina struttura sanitaria per sottoporsi al test, era illegittima e il rifiuto opposto motivato anche dalla paura degli aghi così come confermato da un teste in sede dibattimentale, penalmente irrilevante.
La Cassazione annulla dunque senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

SE IL FILGIO E' MAGGIORENNE E AUTOSUFFICIENTE, NON HA DIRITTO ALL'ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILAIRE

L'interesse alla conservazione dell'habitat domestico viene a mancare se il figlio ha raggiunto la maggiore età e l'indipendenza economica, nonostante l'abitazione sia luogo di convivenza stabile e il figlio vi faccia rientro con frequenza giornaliera dopo il lavoro.

Cass. civ, sez. I, ord., 20 novembre 2023, n. 32151

La Suprema Corte, con sentenza n. 32151 del 20 novembre 2023, rigetta il ricorso proposto dall'ex coniuge, nell'ambito del giudizio divorzile, per l'assegnazione della casa familiare, nonostante il precedente di legittimità invocato secondo cui: «Sussiste l'ipotesi di convivenza rilevante agli effetti dell'assegnazione della casa familiare allorché il figlio maggiorenne non autosufficiente torni con frequenza settimanale presso la casa familiare» (Cass. n.23473/2020).
Il precedente riguarda, infatti, il figlio maggiorenne, ma il maggiorenne non economicamente sufficiente.

Nel caso sottoposto all'esame della Cassazione il figlio della ricorrente, maggiorenne, nonostante facesse rientro alla casa familiare «con frequenza giornaliera dopo il lavoro» e fosse la casa «luogo di convivenza stabile di madre e figlio», aveva raggiunto l'indipendenza economica, dunque non possono trovare accoglimento le argomentazioni della madre-ricorrente per le quali la circostanza che il figlio abbia raggiunto l'autosufficienza economica rileva solo per la revoca dell'assegno di mantenimento «mentre la revoca dell'assegnazione della casa familiare avrebbe presupposto la prova del venir meno dell'esigenza abitativa con carattere di stabilità e richiesto la verifica del preminente interesse della prole, anche nel caso del figlio maggiorenne ed economicamente autosufficiente».

La Cassazione richiama il seguente principio: «la casa familiare deve essere assegnata tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non autosufficienti a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate» (Cass. n. 25604/2018), sul rilievo che la revoca dell'assegnazione della casa familiare è provvedimento che ha come esclusivo presupposto «l'accertamento del venir meno dell'interesse dei figli alla conservazione dell'habitat domestico in conseguenza del raggiungimento della maggiore età e del conseguimento dell'autosufficienza economica o della cessazione del rapporto di convivenza con il genitore assegnatario» (Cass. n. 20452/2022).

Indiscutibile, nel caso in esame, il raggiungimento dell'autosufficienza economica da parte del figlio, dunque il ricorso viene rigettato.
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SE IL FILGIO E MAGGIORENNE E AUTOSUFFICIENTE, NON HA DIRITTO ALLASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILAIRE

Linteresse alla conservazione dellhabitat domestico viene a mancare se il figlio ha raggiunto la maggiore età e lindipendenza economica, nonostante labitazione sia luogo di convivenza stabile e il figlio vi faccia rientro con frequenza giornaliera dopo il lavoro.

Cass. civ, sez. I, ord., 20 novembre 2023, n. 32151

La Suprema Corte, con sentenza n. 32151 del 20 novembre 2023, rigetta il ricorso proposto dallex coniuge, nellambito del giudizio divorzile, per lassegnazione della casa familiare, nonostante il precedente di legittimità invocato secondo cui: «Sussiste lipotesi di convivenza rilevante agli effetti dellassegnazione della casa familiare allorché il figlio maggiorenne non autosufficiente torni con frequenza settimanale presso la casa familiare» (Cass. n.23473/2020).
Il precedente riguarda, infatti, il figlio maggiorenne, ma il maggiorenne non economicamente sufficiente.

Nel caso sottoposto allesame della Cassazione il figlio della ricorrente, maggiorenne, nonostante facesse rientro alla casa familiare «con frequenza giornaliera dopo il lavoro» e fosse la casa «luogo di convivenza stabile di madre e figlio», aveva raggiunto lindipendenza economica, dunque non possono trovare accoglimento le argomentazioni della madre-ricorrente per le quali la circostanza che il figlio abbia raggiunto lautosufficienza economica rileva solo per la revoca dellassegno di mantenimento «mentre la revoca dellassegnazione della casa familiare avrebbe presupposto la prova del venir meno dellesigenza abitativa con carattere di stabilità e richiesto la verifica del preminente interesse della prole, anche nel caso del figlio maggiorenne ed economicamente autosufficiente».

La Cassazione richiama il seguente principio: «la casa familiare deve essere assegnata tenendo prioritariamente conto dellinteresse dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non autosufficienti a permanere nellambiente domestico in cui sono cresciuti, per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate» (Cass. n. 25604/2018), sul rilievo che la revoca dellassegnazione della casa familiare è provvedimento che ha come esclusivo presupposto «laccertamento del venir meno dellinteresse dei figli alla conservazione dellhabitat domestico in conseguenza del raggiungimento della maggiore età e del conseguimento dellautosufficienza economica o della cessazione del rapporto di convivenza con il genitore assegnatario» (Cass. n. 20452/2022).

Indiscutibile, nel caso in esame, il raggiungimento dellautosufficienza economica da parte del figlio, dunque il ricorso viene rigettato.
1 settimana fa
Pavan & Girotto Studio Legale

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SEGNALI DI MALFUNZIONAMENTO DEL VEICOLO IGNORATI DAL CONDUCENTE: CONDANNATO PER IL CONSEGUENTE SINISTRO MORTALE

Confermata la condanna per omicidio.
Al conducente viene addebitato di non essersi fermato, col freno motore e scalando le marce, o con i sistemi frenanti ad aria compressa, dopo le forti avvisaglie, costituite dai rumori e dalle vibrazioni, di un sempre più irregolare assetto di marcia, tale da non consentire la prosecuzione del viaggio senza pericolo per sé e per gli altri.

Cass. pen., sez III, ud. 26 settembre 2023 (dep. 16 novembre 2023), n. 46190

Colpevole di omicidio il conducente che ignora i segnali di allarme – forti vibrazioni e forti rumori – provenienti dal mezzo da lui condotto, prosegue la marcia e poi, all'improvviso, si ritrova a perdere il controllo del veicolo, che invade la corsia opposta e centra una vettura, uccidendone i tre passeggeri.

Decisiva, secondo i giudici d'Appello, è la ricostruzione nei dettagli del drammatico incidente verificatosi quasi dieci anni fa.
Nello specifico, difatti, si è appurato che l'uomo sotto processo «non si è avveduto, nel condurre un autoarticolato composto da un trattore e da un semirimorchio, della vibrazione e del forte rumore provenienti dall'assale posteriore destro del trattore, preannuncianti l'avulsione della coppia di ruote poste su detto assale» e «non ha regolato l'andatura del veicolo in modo utile da prevenirne la perdita di controllo, seguita all'avulsione delle ruote» ed ha perciò «colposamente invaso l'opposta corsia di marcia, impattato un'autovettura e così cagionato la morte di tre persone». Per i giudici d'Appello non ci sono dubbi: il conducente dell'autoarticolato è colpevole di omicidio colposo. Conseguente la sua condanna a ventidue mesi di reclusione.

Col ricorso in Cassazione il legale che difende l'uomo sotto processo prova ad alleggerire la posizione del suo cliente e a metterne in discussione la colpa.
In questa ottica egli pone in evidenza «l'intervento di riparazione eseguito sul trattore poche settimane prima dell'incidente e le rassicurazioni ricevute dall'officina interna all'azienda di autotrasporti cui apparteneva il veicolo» e sostiene non vi fossero, all'epoca, «reali motivi di allarme tali da indurre l'uomo a cambiare stile di guida o a fermare» il mezzo.
Sempre in questa ottica, poi, il legale aggiunge che «il consulente tecnico del pubblico ministero ha escluso sia anomalie o criticità relative al montaggio ed alla stabilità delle ruote rilevabili o attribuibili all'intervento di manutenzione, in quanto questo è stato eseguito ben 5.400 chilometri prima dell'incidente, sia, proprio per la normalità di tale intervento, vibrazioni, rumori e malfunzionamenti sovrapponibili o simili a quelli manifestatisi nei minuti precedenti all'avulsione delle ruote».

Per completare la linea difensiva, infine, il legale ritiene illogico escludere «il caso fortuito o la forza maggiore», proprio perché, osserva, «il consulente tecnico del pubblico ministero ha escluso sia l'esistenza di fattori di allarme per l'uomo, immediatamente prima del sinistro, sia la rilevanza della velocità». In sostanza, secondo il legale, «l'incidente è stato determinato da una concatenazione di eventi ai quali il conducente del mezzo era nell'impossibilità di opporsi».

Per i Giudici di Cassazione, però, la tesi difensiva è assolutamente fragile, alla luce della relazione dell'ingegnere consulente tecnico del pubblico ministero nonché delle dichiarazioni fornite, in qualità testimoni, dagli addetti all'officina in cui era avvenuta l'ultima manutenzione del veicolo.
In primo luogo, l'ingegnere ha chiarito che «l'intervento di manutenzione fu di mera routine, poiché costituito dal cambio dell'intero treno gomme del camion» e ha escluso che «detto intervento si fosse concluso con un insufficiente serraggio dei dadi, poiché il camion percorse successivamente 5.400 chilometri, e, quindi, fu impiegato per un tempo molto superiore a quello in cui si sarebbero staccate le ruote se la loro avulsione avesse trovato causa nell'insufficiente serraggio dei dati». Inoltre, l'ingegnere ha annotato che «la normalità della manutenzione effettuata esclude la manifestazione, e, quindi, la segnalazione di problemi di malfunzionamento sovrapponibili o simili a quelli palesatisi nei minuti precedenti all'avulsione» che ha poi portato all'incidente mortale.

In secondo luogo, un meccanico dell'officina ha escluso che, in occasione dell'intervento di manutenzione, egli avesse ricevuto «segnalazioni di anomalie» o avesse notato «deformazioni o altri problemi impattanti l'assetto delle ruote», mentre ha precisato con sicurezza che egli avrebbe notato «anomalie o malfunzionamenti incidenti sulla stabilità delle ruote, allorché aveva proceduto alla loro sostituzione, perché», ha spiegato, «si nota tutto togliendo la ruota dal mezzo». Inoltre, ha escluso espressamente di «aver ricevuto» dall'uomo sotto processo «segnalazione di problemi concernenti l'assetto delle ruote» e ha assicurato di non aver mai parlato con lui «prima o dopo la manutenzione» e, quindi, di non averlo rassicurato «circa eventuali possibili rumori o vibrazioni future» come possibili conseguenze della «diversa misura dei nuovi pneumatici».

In terzo luogo, un altro meccanico dell'officina ha riferito di «aver sostituito un ammortizzatore dell'asse anteriore del veicolo e le ruote posteriori, siccome usurate» e ha precisato che «prima della riparazione, il veicolo poteva provocare sobbalzi alla cabina di guida, ma non una vibrazione continua o rumore» e ha aggiunto che «il veicolo fu consegnato, dopo la riparazione, a un altro autista, il quale non segnalò alcun problema e a sua volta riconsegnò il mezzo di trasporto» all'uomo sotto processo.
Egli ha anche sottolineato che «prima del distacco di una ruota, come avvenuto in occasione dell'incidente, si avverte qualche cosa». A fronte di tale quadro probatorio, è ritenuta provata «la possibilità per il conducente di percepire, nei minuti precedenti il distacco delle ruote, rumori e oscillazioni», mentre «è irrilevante la causa del distacco ai fini del giudizio di responsabilità» del conducente.

I Giudici sottolineano «la percepibilità, per alcuni minuti, di rumori ed oscillazioni prima dell'avulsione delle ruote».
A questo proposito, viene precisato che: «dei dieci dadi fissanti le ruote che si sfilarono, solo cinque furono trovati vicini, mentre gli altri non furono proprio trovati, nonostante lunghe ricerche, e quindi deve ritenersi si fossero staccati da tempo; la deformazione dei quattro perni e di tutti i fori evidenziano come, per un significativo lasso di tempo, le ruote girarono non in asse con il mozzo, provocando perciò rumori ed oscillazioni; le parti superficiali dei cerchi delle ruote recavano tracce di strisciamento, e, quindi, vennero in contatto fra loro per un certo tempo; è perciò ipotizzabile una dinamica in cui l'originario svitamento di un dado comportò la deformazione del suo perno, il quale andò ad interporsi tra il disco e la pinza del freno, provocando così vibrazioni che causarono prima lo svitamento dei quattro dadi non trovati, quindi lo svitamento degli ultimi cinque dadi, invece repertati; la conferma di questa dinamica si evince anche dal luogo di ritrovamento delle due ruote avulse, cioè a distanza di diverse centinaia di metri tra di loro», e quest'ultima circostanza evidenzia, secondo i Giudici, come una parte del percorso «fu necessariamente effettuata con una sola delle due ruote montate sull'assale posteriore destro del trattore».

I Magistrati tengono poi a precisare che ai fini del giudizio di responsabilità del conducente è irrilevante quale sia stata la causa del distacco, cioè «il difetto di fabbricazione o l'insufficiente serraggio dei dadi, perché la contestazione al conducente è di non essersi fermato, col freno motore e scalando le marce, o con i sistemi frenanti ad aria compressa, dopo le forti avvisaglie, costituite dai rumori e dalle vibrazioni, di un sempre più irregolare assetto di marcia, tale da non consentire la prosecuzione del viaggio senza pericolo per sé e per gli altri. In sostanza, «era umanamente esigibile dal conducente lo specifico comportamento prudente costituito dall'attivazione dei comandi di arresto del mezzo di locomozione», chiariscono i giudici.

Impossibile, quindi, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, ipotizzare un caso fortuito, una volta accertati i campanelli di allarme suonati per il conducente, ossia «rumori e vibrazioni avvertibili per un significativo lasso di tempo», che avrebbero dovuto spingerlo a «fermare, per prudenza, il mezzo da lui guidato», condotta che avrebbe consentito di evitare l'evento lesivo poi verificatosi e costato la vita a tre persone.
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SEGNALI DI MALFUNZIONAMENTO DEL VEICOLO IGNORATI DAL CONDUCENTE: CONDANNATO PER IL CONSEGUENTE SINISTRO MORTALE

Confermata la condanna per omicidio. 
Al conducente viene addebitato di non essersi fermato, col freno motore e scalando le marce, o con i sistemi frenanti ad aria compressa, dopo le forti avvisaglie, costituite dai rumori e dalle vibrazioni, di un sempre più irregolare assetto di marcia, tale da non consentire la prosecuzione del viaggio senza pericolo per sé e per gli altri.

Cass. pen., sez III, ud. 26 settembre 2023 (dep. 16 novembre 2023), n. 46190

Colpevole di omicidio il conducente che ignora i segnali di allarme – forti vibrazioni e forti rumori – provenienti dal mezzo da lui condotto, prosegue la marcia e poi, allimprovviso, si ritrova a perdere il controllo del veicolo, che invade la corsia opposta e centra una vettura, uccidendone i tre passeggeri.

Decisiva, secondo i giudici dAppello, è la ricostruzione nei dettagli del drammatico incidente verificatosi quasi dieci anni fa. 
Nello specifico, difatti, si è appurato che luomo sotto processo «non si è avveduto, nel condurre un autoarticolato composto da un trattore e da un semirimorchio, della vibrazione e del forte rumore provenienti dallassale posteriore destro del trattore, preannuncianti lavulsione della coppia di ruote poste su detto assale» e «non ha regolato landatura del veicolo in modo utile da prevenirne la perdita di controllo, seguita allavulsione delle ruote» ed ha perciò «colposamente invaso lopposta corsia di marcia, impattato unautovettura e così cagionato la morte di tre persone». Per i giudici dAppello non ci sono dubbi: il conducente dellautoarticolato è colpevole di omicidio colposo. Conseguente la sua condanna a ventidue mesi di reclusione.

Col ricorso in Cassazione il legale che difende luomo sotto processo prova ad alleggerire la posizione del suo cliente e a metterne in discussione la colpa. 
In questa ottica egli pone in evidenza «lintervento di riparazione eseguito sul trattore poche settimane prima dellincidente e le rassicurazioni ricevute dallofficina interna allazienda di autotrasporti cui apparteneva il veicolo» e sostiene non vi fossero, allepoca, «reali motivi di allarme tali da indurre luomo a cambiare stile di guida o a fermare» il mezzo. 
Sempre in questa ottica, poi, il legale aggiunge che «il consulente tecnico del pubblico ministero ha escluso sia anomalie o criticità relative al montaggio ed alla stabilità delle ruote rilevabili o attribuibili allintervento di manutenzione, in quanto questo è stato eseguito ben 5.400 chilometri prima dellincidente, sia, proprio per la normalità di tale intervento, vibrazioni, rumori e malfunzionamenti sovrapponibili o simili a quelli manifestatisi nei minuti precedenti allavulsione delle ruote».

Per completare la linea difensiva, infine, il legale ritiene illogico escludere «il caso fortuito o la forza maggiore», proprio perché, osserva, «il consulente tecnico del pubblico ministero ha escluso sia lesistenza di fattori di allarme per luomo, immediatamente prima del sinistro, sia la rilevanza della velocità». In sostanza, secondo il legale, «lincidente è stato determinato da una concatenazione di eventi ai quali il conducente del mezzo era nellimpossibilità di opporsi».

Per i Giudici di Cassazione, però, la tesi difensiva è assolutamente fragile, alla luce della relazione dellingegnere consulente tecnico del pubblico ministero nonché delle dichiarazioni fornite, in qualità testimoni, dagli addetti allofficina in cui era avvenuta lultima manutenzione del veicolo. 
In primo luogo, lingegnere ha chiarito che «lintervento di manutenzione fu di mera routine, poiché costituito dal cambio dellintero treno gomme del camion» e ha escluso che «detto intervento si fosse concluso con un insufficiente serraggio dei dadi, poiché il camion percorse successivamente 5.400 chilometri, e, quindi, fu impiegato per un tempo molto superiore a quello in cui si sarebbero staccate le ruote se la loro avulsione avesse trovato causa nellinsufficiente serraggio dei dati». Inoltre, lingegnere ha annotato che «la normalità della manutenzione effettuata esclude la manifestazione, e, quindi, la segnalazione di problemi di malfunzionamento sovrapponibili o simili a quelli palesatisi nei minuti precedenti allavulsione» che ha poi portato allincidente mortale.

In secondo luogo, un meccanico dellofficina ha escluso che, in occasione dellintervento di manutenzione, egli avesse ricevuto «segnalazioni di anomalie» o avesse notato «deformazioni o altri problemi impattanti lassetto delle ruote», mentre ha precisato con sicurezza che egli avrebbe notato «anomalie o malfunzionamenti incidenti sulla stabilità delle ruote, allorché aveva proceduto alla loro sostituzione, perché», ha spiegato, «si nota tutto togliendo la ruota dal mezzo». Inoltre, ha escluso espressamente di «aver ricevuto» dalluomo sotto processo «segnalazione di problemi concernenti lassetto delle ruote» e ha assicurato di non aver mai parlato con lui «prima o dopo la manutenzione» e, quindi, di non averlo rassicurato «circa eventuali possibili rumori o vibrazioni future» come possibili conseguenze della «diversa misura dei nuovi pneumatici».

In terzo luogo, un altro meccanico dellofficina ha riferito di «aver sostituito un ammortizzatore dellasse anteriore del veicolo e le ruote posteriori, siccome usurate» e ha precisato che «prima della riparazione, il veicolo poteva provocare sobbalzi alla cabina di guida, ma non una vibrazione continua o rumore» e ha aggiunto che «il veicolo fu consegnato, dopo la riparazione, a un altro autista, il quale non segnalò alcun problema e a sua volta riconsegnò il mezzo di trasporto» alluomo sotto processo. 
Egli ha anche sottolineato che «prima del distacco di una ruota, come avvenuto in occasione dellincidente, si avverte qualche cosa». A fronte di tale quadro probatorio, è ritenuta provata «la possibilità per il conducente di percepire, nei minuti precedenti il distacco delle ruote, rumori e oscillazioni», mentre «è irrilevante la causa del distacco ai fini del giudizio di responsabilità» del conducente.

I Giudici sottolineano «la percepibilità, per alcuni minuti, di rumori ed oscillazioni prima dellavulsione delle ruote». 
A questo proposito, viene precisato che: «dei dieci dadi fissanti le ruote che si sfilarono, solo cinque furono trovati vicini, mentre gli altri non furono proprio trovati, nonostante lunghe ricerche, e quindi deve ritenersi si fossero staccati da tempo; la deformazione dei quattro perni e di tutti i fori evidenziano come, per un significativo lasso di tempo, le ruote girarono non in asse con il mozzo, provocando perciò rumori ed oscillazioni; le parti superficiali dei cerchi delle ruote recavano tracce di strisciamento, e, quindi, vennero in contatto fra loro per un certo tempo; è perciò ipotizzabile una dinamica in cui loriginario svitamento di un dado comportò la deformazione del suo perno, il quale andò ad interporsi tra il disco e la pinza del freno, provocando così vibrazioni che causarono prima lo svitamento dei quattro dadi non trovati, quindi lo svitamento degli ultimi cinque dadi, invece repertati; la conferma di questa dinamica si evince anche dal luogo di ritrovamento delle due ruote avulse, cioè a distanza di diverse centinaia di metri tra di loro», e questultima circostanza evidenzia, secondo i Giudici, come una parte del percorso «fu necessariamente effettuata con una sola delle due ruote montate sullassale posteriore destro del trattore».

I Magistrati tengono poi a precisare che ai fini del giudizio di responsabilità del conducente è irrilevante quale sia stata la causa del distacco, cioè «il difetto di fabbricazione o linsufficiente serraggio dei dadi, perché la contestazione al conducente è di non essersi fermato, col freno motore e scalando le marce, o con i sistemi frenanti ad aria compressa, dopo le forti avvisaglie, costituite dai rumori e dalle vibrazioni, di un sempre più irregolare assetto di marcia, tale da non consentire la prosecuzione del viaggio senza pericolo per sé e per gli altri. In sostanza, «era umanamente esigibile dal conducente lo specifico comportamento prudente costituito dallattivazione dei comandi di arresto del mezzo di locomozione», chiariscono i giudici.

Impossibile, quindi, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, ipotizzare un caso fortuito, una volta accertati i campanelli di allarme suonati per il conducente, ossia «rumori e vibrazioni avvertibili per un significativo lasso di tempo», che avrebbero dovuto spingerlo a «fermare, per prudenza, il mezzo da lui guidato», condotta che avrebbe consentito di evitare levento lesivo poi verificatosi e costato la vita a tre persone.
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