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Pavan & Girotto Studio Legale

Pavan & Girotto Studio Legale

Fondato nel 1982 dall'Avv. Giorgio Pavan, dal 1994 diviene Studio Associato.

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NON E' COLPEVOLE LA RUGBISTA CHE TIRA UNA GOMITATA ALL'AVVERSARIA PER RIALZARSI DA TERRA

La vicenda in esame riguarda la responsabilità colposa riconosciuta dalla Corte territoriale nei confronti di un’atleta, per aver procurato gravi lesioni oltre all’indebolimento permanente della vista di una collega, durante una partita di rugby, in occasione della coppa italiana femminile svoltasi a Vicenza.

Cass. pen., sez. IV, ud. 21 aprile 2023 (dep. 19 maggio 2023), n. 21452

I giudici di secondo grado hanno rilevato come l'imputata, nel rialzarsi da terra, abbia colpito la persona offesa con una gomitata, violando la regola specifica sportiva ed «esercitando una forza sicuramente sproporzionata ed esorbitante a quella strettamente necessaria per rimettersi in piedi».

La Suprema Corte ha affermato a riguardo che «nell'analisi dell'eventuale responsabilità dell'atleta per fatti dannosi commessi durante l'attività sportiva debba essere abbandonato l'orizzonte del cd. "rischio consentito" e dell'agente modello, foriero di eccessive incertezze nell'applicazione giudiziale, per approdare ai consueti criteri di accertamento della responsabilità penale nei reati caratterizzati dall'evento: verifica oggettiva del fatto dannoso (azione e nesso causale) e configurabilità della colpevolezza dell'agente, sotto il profilo della sussistenza del dolo o della colpa».

Inoltre, l'attività sportiva «non si sottrae all'indagine di responsabilità colposa (o dolosa) in caso di eventi lesivi della vita o dell'integrità fisica delle persone, accaduti nel corso o in occasione del suo esercizio.
In tale prospettiva, non serve ragionare in termini di scriminante, atteso che l'attività sportiva costituisce di per sé un'attività lecita, rispetto alla quale i partecipanti accettano di correre determinati rischi, sempre che la loro integrità fisica non sia da altri deliberatamente lesa o danneggiata colposamente a seguito della violazione di predeterminate regole cautelari.
Per la colpa generica in particolare - ma anche per la colpa specifica, in caso di regole cautelari c.d. elastiche, in cui cioè la regola non è dettagliata ma è determinata in base a circostanze contingenti - si tratta di applicare i consueti principi che caratterizzano la valutazione della colpevolezza colposa».
In un recente arresto, è stato efficacemente ribadito che «in sede di accertamento della colpa il giudice deve indicare la regola cautelare violata preesistente al fatto, e quindi specificare quale sia - sulla base della diligenza, prudenza e perizia - in concreto ed "ex ante" il comportamento doveroso prescritto» (Cass. n. 32899/2021).

Ne discende che «sono, per contro, illeciti quei comportamenti che non sono riconducibili al gioco, pur nelle sue espressioni pericolose, o perché intenzionalmente diretti a procurare danno alla persona oppure perché, siccome in contrasto con il principio di lealtà sportiva, sono estranei all'ambito di applicazione delle regole del gioco - che quel principio presuppongono e sono quindi disciplinati dalle ordinarie regole di diligenza, dei quali costituiscono violazione».

Per tutti questi motivi, il Collegio annulla la pronuncia in oggetto.
... Guarda di piùGuarda di meno

NON E COLPEVOLE LA RUGBISTA CHE TIRA UNA GOMITATA ALLAVVERSARIA PER RIALZARSI DA TERRA 

La vicenda in esame riguarda la responsabilità colposa riconosciuta dalla Corte territoriale nei confronti di un’atleta, per aver procurato gravi lesioni oltre all’indebolimento permanente della vista di una collega, durante una partita di rugby, in occasione della coppa italiana femminile svoltasi a Vicenza.

Cass. pen., sez. IV, ud. 21 aprile 2023 (dep. 19 maggio 2023), n. 21452

I giudici di secondo grado hanno rilevato come limputata, nel rialzarsi da terra, abbia colpito la persona offesa con una gomitata, violando la regola specifica sportiva ed «esercitando una forza sicuramente sproporzionata ed esorbitante a quella strettamente necessaria per rimettersi in piedi».

La Suprema Corte ha affermato a riguardo che «nellanalisi delleventuale responsabilità dellatleta per fatti dannosi commessi durante lattività sportiva debba essere abbandonato lorizzonte del cd. rischio consentito e dellagente modello, foriero di eccessive incertezze nellapplicazione giudiziale, per approdare ai consueti criteri di accertamento della responsabilità penale nei reati caratterizzati dallevento: verifica oggettiva del fatto dannoso (azione e nesso causale) e configurabilità della colpevolezza dellagente, sotto il profilo della sussistenza del dolo o della colpa». 

Inoltre, lattività sportiva «non si sottrae allindagine di responsabilità colposa (o dolosa) in caso di eventi lesivi della vita o dellintegrità fisica delle persone, accaduti nel corso o in occasione del suo esercizio.
In tale prospettiva, non serve ragionare in termini di scriminante, atteso che lattività sportiva costituisce di per sé unattività lecita, rispetto alla quale i partecipanti accettano di correre determinati rischi, sempre che la loro integrità fisica non sia da altri deliberatamente lesa o danneggiata colposamente a seguito della violazione di predeterminate regole cautelari. 
Per la colpa generica in particolare - ma anche per la colpa specifica, in caso di regole cautelari c.d. elastiche, in cui cioè la regola non è dettagliata ma è determinata in base a circostanze contingenti - si tratta di applicare i consueti principi che caratterizzano la valutazione della colpevolezza colposa». 
In un recente arresto, è stato efficacemente ribadito che «in sede di accertamento della colpa il giudice deve indicare la regola cautelare violata preesistente al fatto, e quindi specificare quale sia - sulla base della diligenza, prudenza e perizia - in concreto ed ex ante il comportamento doveroso prescritto» (Cass. n. 32899/2021).

Ne discende che «sono, per contro, illeciti quei comportamenti che non sono riconducibili al gioco, pur nelle sue espressioni pericolose, o perché intenzionalmente diretti a procurare danno alla persona oppure perché, siccome in contrasto con il principio di lealtà sportiva, sono estranei allambito di applicazione delle regole del gioco - che quel principio presuppongono e sono quindi disciplinati dalle ordinarie regole di diligenza, dei quali costituiscono violazione».

Per tutti questi motivi, il Collegio annulla la pronuncia in oggetto.

SMARTPHONE INCOSTUDOTO NEL BAR, IL LADRO LO COPRE CON UN GIORNALE E SE NE IMPOSSESSA: IMPOSSIBILE PARLARE DI DESTREZZA

I Giudici ridimensionano l’episodio verificatosi in un bar: legittimo, spiegano, parlare di furto semplice.
Illogico riconoscere particolare destrezza all’azione con cui il ladro ha sottratto il cellulare a una donna, poiché egli ha semplicemente approfittato dell’allontanamento della donna dal bar.

Cass. pen., sez. V, ud. 3 febbraio 2023 (dep. 19 maggio 2023), n. 21632

Impossibile catalogare come particolarmente abile il ladro che approfitta della dimenticanza di una persona che all’interno di un locale ha lasciato momentaneamente incustodito il proprio smartphone.

Scenario della vicenda oggetto del processo è un bar in Abruzzo.
A finire sotto accusa è un uomo, beccato dopo avere sottratto lo smartphone ad una donna.
In appello, in particolare, egli viene ritenuto colpevole di «furto con destrezza».
Su quest’ultimo dettaglio, cioè sul riconoscimento della destrezza, è centrato il ricorso proposto in Cassazione dall’avvocato che difende l’uomo sotto accusa.
A suo parere «l’uomo si è limitato ad approfittare dell’allontanamento della detentrice del telefono e ad impossessarsene, coprendolo con un giornale» e, quindi, «nessuna particolare abilità ha caratterizzato la condotta da lui tenuta per eludere la sorveglianza della proprietaria del cellulare, rubato poiché rimasto incustodito».

La linea proposta dall’avvocato convince i Giudici di Cassazione, i quali difatti catalogano l’episodio oggetto del processo come «furto semplice».
Prima di esaminare in dettaglio il caso, comunque, i magistrati ribadiscono che va riconosciuta «l’aggravante della destrezza nel delitto di furto» quando «il ladro ha posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla res, non essendo, invece, sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore del bene».

Ampliando l’orizzonte, poi, i Giudici aggiungono che «va assegnato alla destrezza il significato di abilità o sveltezza personale nell’attività svolta dal ladro prima o durante l’impossessamento, abilità talvolta definite particolari, speciali, straordinarie, ma comunque connotate dall’idoneità ad eludere la normale vigilanza dell’uomo medio sul bene».
E «le condotte nelle quali va ravvisata la destrezza sono caratterizzate da repentinità, come nel comportamento chiamato, per prassi, borseggio, in cui il ladro riesce, con gesto rapido ed accorto, a porre in essere tutte le cautele necessarie per evitare che la persona offesa si renda conto dell’asportazione in atto dalla sua persona o dai suoi accessori».

Comunque, «la circostanza aggravante della destrezza va ritenuta integrata», aggiungono ancora i Giudici, «anche quando la modalità esecutiva» utilizzata dal ladro «sia astuta, avveduta e circospetta, e quindi, presenti un connotato più psicologico che fisico, sempre che sia in grado in astratto di superare il controllo e la vigilanza esercitata dalla persona offesa».

In conclusione, «la destrezza ha perduto la connotazione puramente fisica» per assumere «una dimensione psicologica, che pone al servizio dell’attività criminosa doti di avvedutezza, accortezza, attenzione ed astuzia, capaci, con ancor maggiore insidiosità, di sorprendere la vigilanza sul bene, di regola esercitata dal possessore».
Difatti, «va riconosciuta la destrezza» anche a fronte dell’«approfittamento di una condizione favorevole appositamente creata per allentare la sorveglianza del possessore del bene e neutralizzarne gli effetti».
Per i Giudici di Cassazione, quindi, il principio è chiaro: «l’approfittamento di una condizione favorevole creata dal ladro per allentare la sorveglianza da parte del possessore, e neutralizzarne gli effetti, integra la circostanza aggravante della destrezza, in caso di rapidità dell’azione nell’impossessamento, non potuto percepire dalla persona offesa, a tale scopo distratta».

A fronte di tale quadro generale, pare illogico, chiariscono i Giudici, riconoscere particolare destrezza, nel caso oggetto del processo, all’azione con cui l’uomo ha sottratto il cellulare a una donna. Ciò perché «egli ha approfittato dell’allontanamento della detentrice dal bar e poi ha coperto col giornale lo smartphone della donna» e a quel punto «se ne è semplicemente impossessato». Valida, concludono i Giudici, la linea proposta dalla difesa, poiché la condotta tenuta dall’uomo «non aveva lo scopo di eludere la sorveglianza della persona offesa, che aveva lasciato l’oggetto incustodito e, quindi, privo di vigilanza».
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SMARTPHONE INCOSTUDOTO NEL BAR, IL LADRO LO COPRE CON UN GIORNALE E SE NE IMPOSSESSA: IMPOSSIBILE PARLARE DI DESTREZZA

I Giudici ridimensionano l’episodio verificatosi in un bar: legittimo, spiegano, parlare di furto semplice. 
Illogico riconoscere particolare destrezza all’azione con cui il ladro ha sottratto il cellulare a una donna, poiché egli ha semplicemente approfittato dell’allontanamento della donna dal bar.

Cass. pen., sez. V, ud. 3 febbraio 2023 (dep. 19 maggio 2023), n. 21632

Impossibile catalogare come particolarmente abile il ladro che approfitta della dimenticanza di una persona che all’interno di un locale ha lasciato momentaneamente incustodito il proprio smartphone.

Scenario della vicenda oggetto del processo è un bar in Abruzzo. 
A finire sotto accusa è un uomo, beccato dopo avere sottratto lo smartphone ad una donna. 
In appello, in particolare, egli viene ritenuto colpevole di «furto con destrezza». 
Su quest’ultimo dettaglio, cioè sul riconoscimento della destrezza, è centrato il ricorso proposto in Cassazione dall’avvocato che difende l’uomo sotto accusa.
A suo parere «l’uomo si è limitato ad approfittare dell’allontanamento della detentrice del telefono e ad impossessarsene, coprendolo con un giornale» e, quindi, «nessuna particolare abilità ha caratterizzato la condotta da lui tenuta per eludere la sorveglianza della proprietaria del cellulare, rubato poiché rimasto incustodito».

La linea proposta dall’avvocato convince i Giudici di Cassazione, i quali difatti catalogano l’episodio oggetto del processo come «furto semplice». 
Prima di esaminare in dettaglio il caso, comunque, i magistrati ribadiscono che va riconosciuta «l’aggravante della destrezza nel delitto di furto» quando «il ladro ha posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla res, non essendo, invece, sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore del bene».

Ampliando l’orizzonte, poi, i Giudici aggiungono che «va assegnato alla destrezza il significato di abilità o sveltezza personale nell’attività svolta dal ladro prima o durante l’impossessamento, abilità talvolta definite particolari, speciali, straordinarie, ma comunque connotate dall’idoneità ad eludere la normale vigilanza dell’uomo medio sul bene». 
E «le condotte nelle quali va ravvisata la destrezza sono caratterizzate da repentinità, come nel comportamento chiamato, per prassi, borseggio, in cui il ladro riesce, con gesto rapido ed accorto, a porre in essere tutte le cautele necessarie per evitare che la persona offesa si renda conto dell’asportazione in atto dalla sua persona o dai suoi accessori».

Comunque, «la circostanza aggravante della destrezza va ritenuta integrata», aggiungono ancora i Giudici, «anche quando la modalità esecutiva» utilizzata dal ladro «sia astuta, avveduta e circospetta, e quindi, presenti un connotato più psicologico che fisico, sempre che sia in grado in astratto di superare il controllo e la vigilanza esercitata dalla persona offesa».

In conclusione, «la destrezza ha perduto la connotazione puramente fisica» per assumere «una dimensione psicologica, che pone al servizio dell’attività criminosa doti di avvedutezza, accortezza, attenzione ed astuzia, capaci, con ancor maggiore insidiosità, di sorprendere la vigilanza sul bene, di regola esercitata dal possessore». 
Difatti, «va riconosciuta la destrezza» anche a fronte dell’«approfittamento di una condizione favorevole appositamente creata per allentare la sorveglianza del possessore del bene e neutralizzarne gli effetti». 
Per i Giudici di Cassazione, quindi, il principio è chiaro: «l’approfittamento di una condizione favorevole creata dal ladro per allentare la sorveglianza da parte del possessore, e neutralizzarne gli effetti, integra la circostanza aggravante della destrezza, in caso di rapidità dell’azione nell’impossessamento, non potuto percepire dalla persona offesa, a tale scopo distratta».

A fronte di tale quadro generale, pare illogico, chiariscono i Giudici, riconoscere particolare destrezza, nel caso oggetto del processo, all’azione con cui l’uomo ha sottratto il cellulare a una donna. Ciò perché «egli ha approfittato dell’allontanamento della detentrice dal bar e poi ha coperto col giornale lo smartphone della donna» e a quel punto «se ne è semplicemente impossessato». Valida, concludono i Giudici, la linea proposta dalla difesa, poiché la condotta tenuta dall’uomo «non aveva lo scopo di eludere la sorveglianza della persona offesa, che aveva lasciato l’oggetto incustodito e, quindi, privo di vigilanza».

LOCAZIONE: IL MANCATO VERSAMENTO DI ALCUNE ANNUALITA' DELL'IMPOSTA DI REGISTRO NON INFICIA LA VALIDITA' DEL NEGOZIO.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13870/2023, ha espresso un importante principio di diritto in tema di locazione.

Cass. civ., sez. III, ord., 19 maggio 2023, n. 13870

Nel caso in esame, il locatore del bene immobile ad uso abitativo in questione, aveva sì richiesto il pagamento del canone sulla base di una pattuizione che si riferiva ad un contratto ab origine registrato, ma quest'ultima non era stata registrata, con la conseguenza che, per poter realizzare lo sfratto, il ricorrente avrebbe dovuto pagare l'imposta di registro per le annualità morose.
Inoltre, non è stato dedotto che la parte locatrice avesse fittiziamente comunicato all'amministrazione finanziaria la cessazione del rapporto in data anteriore a quella reale, «così da impedire od ostacolare l'azione di verifica del dovuto da parte dell'amministrazione finanziaria medesima».

Indi per cui, ne consegue l'inammissibilità del ricorso in oggetto in quanto «il mancato versamento di alcune annualità della imposta di registro, successive a quella iniziale, è sì sanzionato dalla normativa fiscale, ma non rileva agli effetti della validità negoziale del contratto cui si riferisce la previsione di nullità di cui alla norma dell'art. 1, comma 346, della l. n. 311 del 2004, atteso che essa si riferisce alla registrazione originaria del contratto».
... Guarda di piùGuarda di meno

LOCAZIONE: IL MANCATO VERSAMENTO DI ALCUNE ANNUALITA DELLIMPOSTA DI REGISTRO NON INFICIA LA VALIDITA DEL NEGOZIO.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13870/2023, ha espresso un importante principio di diritto in tema di locazione.

Cass. civ., sez. III, ord., 19 maggio 2023, n. 13870

Nel caso in esame, il locatore del bene immobile ad uso abitativo in questione, aveva sì richiesto il pagamento del canone sulla base di una pattuizione che si riferiva ad un contratto ab origine registrato, ma questultima non era stata registrata, con la conseguenza che, per poter realizzare lo sfratto, il ricorrente avrebbe dovuto pagare limposta di registro per le annualità morose. 
Inoltre, non è stato dedotto che la parte locatrice avesse fittiziamente comunicato allamministrazione finanziaria la cessazione del rapporto in data anteriore a quella reale, «così da impedire od ostacolare lazione di verifica del dovuto da parte dellamministrazione finanziaria medesima».

Indi per cui, ne consegue linammissibilità del ricorso in oggetto in quanto «il mancato versamento di alcune annualità della imposta di registro, successive a quella iniziale, è sì sanzionato dalla normativa fiscale, ma non rileva agli effetti della validità negoziale del contratto cui si riferisce la previsione di nullità di cui alla norma dellart. 1, comma 346, della l. n. 311 del 2004, atteso che essa si riferisce alla registrazione originaria del contratto».

PERDE IL LAVORO PER PROPRIA COLPA: NESSUNA GIUSTIFICAZIONE PER LA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE.

I Giudici sottolineano che l’uomo si è fatto licenziare da un impiego per mancato rispetto degli obblighi lavorativi.
Infine, si è appurato che egli circolava alla guida di macchine di lusso, mantenendo un elevato tenore di vita e, al contempo, negando il necessario per i figli.

Cass. pen., sez VI, ud. 23 marzo 2023 (dep. 18 maggio 2023), n. 21393

Condanna confermata per l'uomo che non versa all'ex moglie l'assegno divorzile e il mantenimento per i figli e prova a giustificarsi ponendo in evidenza la propria condizione di disoccupato.
Quest'ultimo dato non è però ritenuto decisivo dai Giudici, i quali sottolineano che l'uomo ha sì perso il lavoro ma per propria colpa, avendo non rispettato i propri doveri nei confronti dell'azienda datrice di lavoro.

Ricostruita in dettaglio la vicenda, l'uomo sotto processo viene ritenuto colpevole, sia in primo che in secondo grado, di «violazione degli obblighi di assistenza familiare», non avendo egli «versato, in tutto o in parte, le somme poste a suo carico, a titolo di assegno divorzile e per il mantenimento dei figli, oltre ai tre quarti delle spese straordinarie, dal Tribunale civile».
In Appello la pena viene ridotta a nove mesi di reclusione.
Col ricorso in Cassazione il legale che rappresenta l'uomo sostiene vada tenuto presente che «il mancato versamento - parziale - delle somme contestate è dipeso dall'incolpevole stato di indigenza in cui si è trovato l'uomo che, fin quando ha potuto, ha sempre ottemperato totalmente e poi ha comunque cercato, nei limite delle sue possibilità, di adempiere» quanto stabilito dal Tribunale Civile.

Difesa non accolta dai Giudici della Cassazione.
E' acclarato che «l'omesso versamento di assegno divorzile e mantenimento - protratto, peraltro, per un lunghissimo periodo di tempo - non è stato dovuto a fatto incolpevole».
Difatti, «l'uomo ha certamente subito una drastica riduzione delle proprie entrate, a causa del fallimento della propria florida impresa» ma, allo stesso tempo, «è emerso che l'uomo si è fatto licenziare da un impiego per mancato rispetto degli obblighi lavorativi».
Infine, si è appurato che «circolava alla guida di macchine di lusso, mantenendo un elevato tenore di vita e, al contempo, negando il necessario per i figli», sottolineano i Magistrati.

Per quanto concerne, poi, l'obiezione difensiva mirata a sottolineare che «l'uomo ha, sia pur parzialmente, comunque provveduto nei limiti delle proprie possibilità a far fronte ai propri obblighi nei confronti dei figli minori», i Magistrati ribadiscono che «in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare» bisogna fare riferimento non alla «mancata prestazione di mezzi di sussistenza» bensì alla «mancata corresponsione delle somme stabilite in sede civile», cosicché «l'inadempimento costituisce di per sé oggetto del precetto penalmente rilevante, non essendo consentito al soggetto obbligato operarne una riduzione e non essendo necessario verificare se per tale via si sia prodotta o meno la mancanza di mezzi di sussistenza

Va poi evidenziato anche l'elemento psicologico, poiché «la sua incapacità economica non può essere ricondotta», precisano i Giudici, «alla perdita del lavoro, che risulta tutt'altro che incolpevole».
Peraltro, «l'assegno di mantenimento non è stato pagato regolarmente né in epoca precedente al licenziamento dell'uomo, né in epoca successiva alla riduzione da parte del giudice civile» e quindi «l'uomo, omettendo scientemente di versare quanto dovuto, attuava dolosamente una violazione penalmente sanzionata».
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PERDE IL LAVORO PER PROPRIA COLPA: NESSUNA GIUSTIFICAZIONE PER LA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE.

I Giudici sottolineano che l’uomo si è fatto licenziare da un impiego per mancato rispetto degli obblighi lavorativi. 
Infine, si è appurato che egli circolava alla guida di macchine di lusso, mantenendo un elevato tenore di vita e, al contempo, negando il necessario per i figli.

Cass. pen., sez VI, ud. 23 marzo 2023 (dep. 18 maggio 2023), n. 21393

Condanna confermata per luomo che non versa allex moglie lassegno divorzile e il mantenimento per i figli e prova a giustificarsi ponendo in evidenza la propria condizione di disoccupato. 
Questultimo dato non è però ritenuto decisivo dai Giudici, i quali sottolineano che luomo ha sì perso il lavoro ma per propria colpa, avendo non rispettato i propri doveri nei confronti dellazienda datrice di lavoro.

Ricostruita in dettaglio la vicenda, luomo sotto processo viene ritenuto colpevole, sia in primo che in secondo grado, di «violazione degli obblighi di assistenza familiare», non avendo egli «versato, in tutto o in parte, le somme poste a suo carico, a titolo di assegno divorzile e per il mantenimento dei figli, oltre ai tre quarti delle spese straordinarie, dal Tribunale civile». 
In Appello la pena viene ridotta a nove mesi di reclusione. 
Col ricorso in Cassazione il legale che rappresenta luomo sostiene vada tenuto presente che «il mancato versamento - parziale - delle somme contestate è dipeso dallincolpevole stato di indigenza in cui si è trovato luomo che, fin quando ha potuto, ha sempre ottemperato totalmente e poi ha comunque cercato, nei limite delle sue possibilità, di adempiere» quanto stabilito dal Tribunale Civile.

Difesa non accolta dai Giudici della Cassazione. 
E acclarato che «lomesso versamento di assegno divorzile e mantenimento - protratto, peraltro, per un lunghissimo periodo di tempo - non è stato dovuto a fatto incolpevole». 
Difatti, «luomo ha certamente subito una drastica riduzione delle proprie entrate, a causa del fallimento della propria florida impresa» ma, allo stesso tempo, «è emerso che luomo si è fatto licenziare da un impiego per mancato rispetto degli obblighi lavorativi». 
Infine, si è appurato che «circolava alla guida di macchine di lusso, mantenendo un elevato tenore di vita e, al contempo, negando il necessario per i figli», sottolineano i Magistrati.

Per quanto concerne, poi, lobiezione difensiva mirata a sottolineare che «luomo ha, sia pur parzialmente, comunque provveduto nei limiti delle proprie possibilità a far fronte ai propri obblighi nei confronti dei figli minori», i Magistrati ribadiscono che «in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare» bisogna fare riferimento non alla «mancata prestazione di mezzi di sussistenza» bensì alla «mancata corresponsione delle somme stabilite in sede civile», cosicché «linadempimento costituisce di per sé oggetto del precetto penalmente rilevante, non essendo consentito al soggetto obbligato operarne una riduzione e non essendo necessario verificare se per tale via si sia prodotta o meno la mancanza di mezzi di sussistenza

Va poi evidenziato anche lelemento psicologico, poiché «la sua incapacità economica non può essere ricondotta», precisano i Giudici, «alla perdita del lavoro, che risulta tuttaltro che incolpevole». 
Peraltro, «lassegno di mantenimento non è stato pagato regolarmente né in epoca precedente al licenziamento delluomo, né in epoca successiva alla riduzione da parte del giudice civile» e quindi «luomo, omettendo scientemente di versare quanto dovuto, attuava dolosamente una violazione penalmente sanzionata».

ASSENTE DAL LAVOTO PERCHE' IN CARCERE: L'OMESSA COMUNICAZIONE ALL'AZIENDA COSTA IL POSTO AL DIPENDENTE,

Legittimo il licenziamento deciso da un’Azienda sanitaria locale nei confronti di un dipendente risultato assente non giustificato per un lungo periodo.
Tardiva la comunicazione, da parte del legale del lavoratore, all’azienda, sulla situazione del dipendente.
Irrilevante il fatto che informalmente la moglie del lavoratore abbia dato la notizia al direttore amministrativo dell’Azienda sanitaria locale.

Cass. civ, sez. lav., sent., 16 maggio 2023, n. 13383

Costretto in carcere, a seguito di condanna definitiva, e, quindi, assente ingiustificato, per ben due mesi, sul luogo di lavoro.
A rendere drammatica la situazione del dipendente di un’Azienda sanitaria locale è stato però un ulteriore dettaglio, cioè la mancata tempestiva comunicazione dell’assenza al datore di lavoro.
Proprio per questo, è legittimo, secondo i Giudici, il licenziamento deciso dall’Azienda.

I giudici di secondo grado ritengono poi irrilevante la comunicazione informale fatta al direttore amministrativo dell’Azienda sanitaria locale dalla moglie del lavoratore. Difatti, «pur in assenza di una espressa previsione formale, il lavoratore che abbia necessità di assentarsi dal lavoro è tenuto a comunicare al datore i motivi dell'assenza, con qualsiasi modalità e purché tempestiva ed efficace, oltre che esaustiva, cioè completa dei motivi e della durata dell'assenza, anche per consentire al datore di organizzare il servizio in mancanza del lavoratore assente». Chiara la valutazione compiuta dai giudici d’Appello: il licenziamento è da ritenere legittimo a fronte di «una assenza protratta per un tempo superiore a tre giorni – oltre due mesi, per la precisione –, tempo già ritenuto dal contratto collettivo nazionale idoneo a risolvere il rapporto», assenza, peraltro, «non accompagnata da alcuna giustificazione per oltre due mesi» mentre «solo nell’incontro coi difensori del lavoratore erano state chiarite le circostanze della detenzione».

In sostanza, «sebbene la detenzione in carcere possa rappresentare un motivo astrattamente idoneo a giustificare l'assenza, il lavoratore, per rispettare gli obblighi di correttezza e buonafede, deve provvedere ad una tempestiva comunicazione, onde porre l'azienda in condizione di riorganizzare il servizio», sanciscono i giudici d’Appello.
Questa valutazione è condivisa anche dai Magistrati di Cassazione, i quali definiscono «irrilevante il fatto che il direttore amministrativo dell’Azienda sanitaria locale avesse appreso informalmente dalla moglie del lavoratore che costui era in carcere, poiché l'informazione era incompleta e non idonea a consentire all'azienda di assumere i provvedimenti necessari alla sostituzione del dipendente», vista la mancanza di informazioni «sulla ragione dell'arresto, sul carattere o meno temporaneo della misura, sulla durata», cioè sulle notizie minime utili per assumere le conseguenti determinazioni.

Viene poi precisato che «una comunicazione priva dei requisiti minimi per svolgere la sua funzione, in quanto resa verbalmente e in modo assolutamente incompleto, non è idonea a giustificare un’assenza protrattasi per lungo tempo senza alcuna notizia ufficiale».
A maggior ragione, poi, quando, come nella vicenda in esame, «il lavoratore avrebbe ben potuto disporre per suo conto una comunicazione scritta esaustiva dei motivi dell’assenza e della durata» mentre, invece, «egli si era completamente disinteressato di aver abbandonato il posto di lavoro e di aver lasciato il datore privo di notizie in merito alla sua assenza, peraltro destinata a durare a lungo», considerata la condanna dell’uomo a sei anni e nove mesi di reclusione.
Inutile il richiamo fatto dal legale del lavoratore in merito al fatto che «il datore di lavoro fosse a conoscenza dello stato di detenzione del dipendente per averlo appreso informalmente dalla moglie del lavoratore».

Su questo fronte i Magistrati si soffermano sulle «caratteristiche che deve possedere la comunicazione del lavoratore circa l'assenza dal servizio – comunicazione che deve essere tempestiva, efficace ed esaustiva, nel senso di indicare i motivi dell’assenza e la sua durata presumibile – per essere funzionale, in modo da consentire al datore di approntare la sostituzione e comunque di riorganizzare il servizio in mancanza del lavoratore assente».
Di conseguenza, il fatto che, nella vicenda oggetto del processo, «il direttore amministrativo dell’Azienda sanitaria locale avesse appreso informalmente dalla moglie del lavoratore la circostanza che quest’ultimo era stato tratto in arresto non poteva assumere rilievo, poiché l'informazione era incompleta ed inidonea a consentire al datore le valutazioni di competenza, difettando la ragione dell'arresto, la natura (cautelare o definitiva), la durata (breve o lunga)».
... Guarda di piùGuarda di meno

ASSENTE DAL LAVOTO PERCHE IN CARCERE: LOMESSA COMUNICAZIONE ALLAZIENDA COSTA IL POSTO AL DIPENDENTE,

Legittimo il licenziamento deciso da un’Azienda sanitaria locale nei confronti di un dipendente risultato assente non giustificato per un lungo periodo. 
Tardiva la comunicazione, da parte del legale del lavoratore, all’azienda, sulla situazione del dipendente. 
Irrilevante il fatto che informalmente la moglie del lavoratore abbia dato la notizia al direttore amministrativo dell’Azienda sanitaria locale.

Cass. civ, sez. lav., sent., 16 maggio 2023, n. 13383

Costretto in carcere, a seguito di condanna definitiva, e, quindi, assente ingiustificato, per ben due mesi, sul luogo di lavoro. 
A rendere drammatica la situazione del dipendente di un’Azienda sanitaria locale è stato però un ulteriore dettaglio, cioè la mancata tempestiva comunicazione dell’assenza al datore di lavoro. 
Proprio per questo, è legittimo, secondo i Giudici, il licenziamento deciso dall’Azienda. 

I giudici di secondo grado ritengono poi irrilevante la comunicazione informale fatta al direttore amministrativo dell’Azienda sanitaria locale dalla moglie del lavoratore. Difatti, «pur in assenza di una espressa previsione formale, il lavoratore che abbia necessità di assentarsi dal lavoro è tenuto a comunicare al datore i motivi dellassenza, con qualsiasi modalità e purché tempestiva ed efficace, oltre che esaustiva, cioè completa dei motivi e della durata dellassenza, anche per consentire al datore di organizzare il servizio in mancanza del lavoratore assente». Chiara la valutazione compiuta dai giudici d’Appello: il licenziamento è da ritenere legittimo a fronte di «una assenza protratta per un tempo superiore a tre giorni – oltre due mesi, per la precisione –, tempo già ritenuto dal contratto collettivo nazionale idoneo a risolvere il rapporto», assenza, peraltro, «non accompagnata da alcuna giustificazione per oltre due mesi» mentre «solo nell’incontro coi difensori del lavoratore erano state chiarite le circostanze della detenzione».

In sostanza, «sebbene la detenzione in carcere possa rappresentare un motivo astrattamente idoneo a giustificare lassenza, il lavoratore, per rispettare gli obblighi di correttezza e buonafede, deve provvedere ad una tempestiva comunicazione, onde porre lazienda in condizione di riorganizzare il servizio», sanciscono i giudici d’Appello. 
Questa valutazione è condivisa anche dai Magistrati di Cassazione, i quali definiscono «irrilevante il fatto che il direttore amministrativo dell’Azienda sanitaria locale avesse appreso informalmente dalla moglie del lavoratore che costui era in carcere, poiché linformazione era incompleta e non idonea a consentire allazienda di assumere i provvedimenti necessari alla sostituzione del dipendente», vista la mancanza di informazioni «sulla ragione dellarresto, sul carattere o meno temporaneo della misura, sulla durata», cioè sulle notizie minime utili per assumere le conseguenti determinazioni.

Viene poi precisato che «una comunicazione priva dei requisiti minimi per svolgere la sua funzione, in quanto resa verbalmente e in modo assolutamente incompleto, non è idonea a giustificare un’assenza protrattasi per lungo tempo senza alcuna notizia ufficiale». 
A maggior ragione, poi, quando, come nella vicenda in esame, «il lavoratore avrebbe ben potuto disporre per suo conto una comunicazione scritta esaustiva dei motivi dell’assenza e della durata» mentre, invece, «egli si era completamente disinteressato di aver abbandonato il posto di lavoro e di aver lasciato il datore privo di notizie in merito alla sua assenza, peraltro destinata a durare a lungo», considerata la condanna dell’uomo a sei anni e nove mesi di reclusione. 
Inutile il richiamo fatto dal legale del lavoratore in merito al fatto che «il datore di lavoro fosse a conoscenza dello stato di detenzione del dipendente per averlo appreso informalmente dalla moglie del lavoratore».

Su questo fronte i Magistrati si soffermano sulle «caratteristiche che deve possedere la comunicazione del lavoratore circa lassenza dal servizio – comunicazione che deve essere tempestiva, efficace ed esaustiva, nel senso di indicare i motivi dell’assenza e la sua durata presumibile – per essere funzionale, in modo da consentire al datore di approntare la sostituzione e comunque di riorganizzare il servizio in mancanza del lavoratore assente». 
Di conseguenza, il fatto che, nella vicenda oggetto del processo, «il direttore amministrativo dell’Azienda sanitaria locale avesse appreso informalmente dalla moglie del lavoratore la circostanza che quest’ultimo era stato tratto in arresto non poteva assumere rilievo, poiché linformazione era incompleta ed inidonea a consentire al datore le valutazioni di competenza, difettando la ragione dellarresto, la natura (cautelare o definitiva), la durata (breve o lunga)».
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