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Pavan & Girotto Studio Legale

Pavan & Girotto Studio Legale

Fondato nel 1982 dall'Avv. Giorgio Pavan.
Dal 1994 Studio Legale Associato.
Il nostro motto:
Ogni problema ha almeno una soluzione, la nostra missione è trovarla e realizzarla per voi.
Never Give Up.

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ALCOLTEST: NESSUN OBBLIGO PER LA POLIZIA DI DARE AVVISO AL DIFENSORE DI FIDUCIA DELL'INTERESSATO

Protagonista della vicenda in esame è un imputato, accusato di aver guidato la sua autovettura in stato di ebbrezza, con tasso alcolemico pari a 1,72 g/l alla prima prova e di 1,63 g/l alla seconda prova dell’alcoltest.

Cass. pen., sez. IV, ud. 29 febbraio 2024 (dep. 25 marzo 2024), n. 12178

La Corte d'Appello ha ritenuto infondato il motivo di gravame con il quale l'imputato in questione aveva lamentato il mancato avviso al difensore di fiducia, nonostante fosse intervenuta la nomina, ed il mancato avviso all'imputato che poteva farsi assistere dal legale stesso.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il protagonista di tale vicenda, sostenendo che gli operanti non avevano comunicato al difensore di fiducia la facoltà di assistere all'atto irripetibile consistente nell'accertamento etilometrico.

La doglianza è infondata.

Secondo l'art. 356 c.p.p. non sussiste alcun obbligo per la polizia giudiziaria di dare avviso al difensore di fiducia dell'interessato del compimento dell'alcoltest. Infatti, in tema di guida in stato di ebbrezza, «l'avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore, ai sensi dell'art. 114 disp. att. c.p.p., deve essere rivolto al conducente del veicolo solo nel momento in cui viene avviata la procedura di accertamento strumentale dell'acolemia, con la richiesta di sottoporsi al relativo test, ma tali avvisi non devono, invece, essere dati al conducente all'atto del compimento di accertamenti preliminari e meramente esplorativi, quali il blow test» (Cass. n. 5396/2011).

Pertanto, il Collegio rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
... Guarda di piùGuarda di meno

ALCOLTEST: NESSUN OBBLIGO PER LA POLIZIA DI DARE AVVISO AL DIFENSORE DI FIDUCIA DELLINTERESSATO

Protagonista della vicenda in esame è un imputato, accusato di aver guidato la sua autovettura in stato di ebbrezza, con tasso alcolemico pari a 1,72 g/l alla prima prova e di 1,63 g/l alla seconda prova dell’alcoltest.

Cass. pen., sez. IV, ud. 29 febbraio 2024 (dep. 25 marzo 2024), n. 12178

La Corte dAppello ha ritenuto infondato il motivo di gravame con il quale limputato in questione aveva lamentato il mancato avviso al difensore di fiducia, nonostante fosse intervenuta la nomina, ed il mancato avviso allimputato che poteva farsi assistere dal legale stesso.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il protagonista di tale vicenda, sostenendo che gli operanti non avevano comunicato al difensore di fiducia la facoltà di assistere allatto irripetibile consistente nellaccertamento etilometrico.

La doglianza è infondata. 

Secondo lart. 356 c.p.p. non sussiste alcun obbligo per la polizia giudiziaria di dare avviso al difensore di fiducia dellinteressato del compimento dellalcoltest. Infatti, in tema di guida in stato di ebbrezza, «lavvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore, ai sensi dellart. 114 disp. att. c.p.p., deve essere rivolto al conducente del veicolo solo nel momento in cui viene avviata la procedura di accertamento strumentale dellacolemia, con la richiesta di sottoporsi al relativo test, ma tali avvisi non devono, invece, essere dati al conducente allatto del compimento di accertamenti preliminari e meramente esplorativi, quali il blow test» (Cass. n. 5396/2011).

Pertanto, il Collegio rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

LA REVOCA DELL'ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE COMPORTA L'AUMENTO DELL'ASSEGNO DIVORZILE

In tema di revisione delle condizioni di divorzio, costituisce una sopravvenienza da valutare ai fini dell’aumento dell’assegno divorzile la revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge, il cui godimento, ancorché funzionale al mantenimento dell’ambiente familiare in favore dei figli, costituisce un valore economico non solo per l’assegnatario, che ne viene privato per effetto della revoca, ma anche per l’altro coniuge, che si avvantaggia per effetto della revoca.

Cass. civ., sez. I., ord., 25 marzo 2024, n. 7961

Qualche anno dopo il divorzio di due coniugi, l'ex marito chiedeva la revoca dell'assegnazione della casa coniugale all'ex moglie in quanto entrambi i figli maggiorenni non erano più conviventi con la madre.
La donna si dichiarava disponibile a rilasciare l'abitazione, ma chiedeva un congruo termine oltre all'aumento dell'assegno divorzile da 800 a 1500 euro mensili.
Il Tribunale accoglieva il ricorso presentato dall'ex marito e revocava l'assegnazione della casa coniugale.
Rigettava però la domanda della donna volta all'aumento dell'assegno divorzile. In sede di reclamo, le richieste dell'ex moglie trovavano invece accoglimento.

L'ex marito ha dunque proposto ricorso per cassazione dolendosi dell'aumento dell'assegno divorzile nonostante l'ex moglie avesse semplicemente addotto in senso peggiorativo la perdita della casa coniugale, senza però evidenziare le spese sostenute per il reperimento della nuova abitazione (era andata ad abitare gratuitamente in una casa di proprietà del padre).

Il ricorso risulta privo di fondamento.

Partendo dal presupposto che «l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, deve essere operato secondo una valutazione comparativa delle condizioni delle parti, senza che il giudice sia chiamato ad effettuare una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, che è già stata effettuata con la sentenza divorzile», il Collegio afferma il principio di diritto secondo cui «in tema di revisione delle condizioni di divorzio, costituisce sopravvenienza valutabile, ai fini dell'accertamento dei giustificati motivi per l'aumento dell'assegno divorzile, la revoca dell'assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell'altro ex coniuge, il cui godimento, ancorché funzionale al mantenimento dell'ambiente familiare in favore dei figli, costituisce un valore economico non solo per l'assegnatario, che ne viene privato per effetto della revoca, ma anche per l'altro coniuge, che si avvantaggia per effetto della revoca, potendo andare ad abitare la casa coniugale o concederla in locazione a terzi o comunque impiegarla in attività produttive, compiendo attività suscettibili di valutazione economica che, durante l'assegnazione all'altro coniuge, non erano consentite».
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LA REVOCA DELLASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE COMPORTA LAUMENTO DELLASSEGNO DIVORZILE

In tema di revisione delle condizioni di divorzio, costituisce una sopravvenienza da valutare ai fini dell’aumento dell’assegno divorzile la revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge, il cui godimento, ancorché funzionale al mantenimento dell’ambiente familiare in favore dei figli, costituisce un valore economico non solo per l’assegnatario, che ne viene privato per effetto della revoca, ma anche per l’altro coniuge, che si avvantaggia per effetto della revoca.

Cass. civ., sez. I., ord., 25 marzo 2024, n. 7961

Qualche anno dopo il divorzio di due coniugi, lex marito chiedeva la revoca dellassegnazione della casa coniugale allex moglie in quanto entrambi i figli maggiorenni non erano più conviventi con la madre. 
La donna si dichiarava disponibile a rilasciare labitazione, ma chiedeva un congruo termine oltre allaumento dellassegno divorzile da 800 a 1500 euro mensili.
Il Tribunale accoglieva il ricorso presentato dallex marito e revocava lassegnazione della casa coniugale. 
Rigettava però la domanda della donna volta allaumento dellassegno divorzile. In sede di reclamo, le richieste dellex moglie trovavano invece accoglimento.

Lex marito ha dunque proposto ricorso per cassazione dolendosi dellaumento dellassegno divorzile nonostante lex moglie avesse semplicemente addotto in senso peggiorativo la perdita della casa coniugale, senza però evidenziare le spese sostenute per il reperimento della nuova abitazione (era andata ad abitare gratuitamente in una casa di proprietà del padre).

Il ricorso risulta privo di fondamento.

Partendo dal presupposto che «laccertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dellassegno, deve essere operato secondo una valutazione comparativa delle condizioni delle parti, senza che il giudice sia chiamato ad effettuare una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dellassegno, che è già stata effettuata con la sentenza divorzile», il Collegio afferma il principio di diritto secondo cui «in tema di revisione delle condizioni di divorzio, costituisce sopravvenienza valutabile, ai fini dellaccertamento dei giustificati motivi per laumento dellassegno divorzile, la revoca dellassegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dellaltro ex coniuge, il cui godimento, ancorché funzionale al mantenimento dellambiente familiare in favore dei figli, costituisce un valore economico non solo per lassegnatario, che ne viene privato per effetto della revoca, ma anche per laltro coniuge, che si avvantaggia per effetto della revoca, potendo andare ad abitare la casa coniugale o concederla in locazione a terzi o comunque impiegarla in attività produttive, compiendo attività suscettibili di valutazione economica che, durante lassegnazione allaltro coniuge, non erano consentite».

NEL CALCOLO DELLE DISTANZE TRA EDIFICI RILEVANO ANCHE I BALCONI

Sono infatti esclusi dal calcolo delle distanze solo gli sporti con funzione meramente ornamentale, di rifinitura o accessoria, come mensole, cornicioni, canalizzazioni di gronda e simili.

Cass. civ., sez. II, ord., 21 marzo 2024, n. 7604

Il proprietario di un appartamento sito al quarto piano di un Condominio chiedeva al Tribunale la condanna di una società di costruzioni al ripristino dei luoghi dopo aver edificato un complesso edilizio in violazione delle distanze legali tra costruzioni e in difformità dell'approvato progetto.
Secondo la società, le due costruzioni non potevano considerarsi frontiste e confinanti a causa della sussistenza di un manufatto interposto.
Il Tribunale rigettava infatti la domanda, decisione confermata poi anche in sede di appello.

Il soccombente ha dunque proposto ricorso in Cassazione e il ricorso è stato accolto.

La S.C. ricorda che l'art. 10 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 prescrive che tra pareti finestrate deve essere osservata la distanza di 10 metri, indicando così una caratteristica del fabbricato, «nel senso che quando questo presenta una facciata munita di finestre, il vicino non può costruire a meno di dieci metri da essa. Conseguentemente, ciascun condomino e non i soli proprietari degli appartamenti con vedute site lungo la facciata interessata, è legittimato a esperire l'azione per fare valere il rispetto, da parte del vicino, della detta distanza, in quanto tale azione è posta a tutela dell'intero edificio».

Inoltre occorre ribadire che «sono esclusi dal calcolo delle distanze solo gli sporti con funzione meramente ornamentale, di rifinitura o accessoria (come le mensole, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili), non anche le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza, specie ove la normativa locale non preveda un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie (Cass. civ. n. 473/2019)».

In conclusione, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello.
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NEL CALCOLO DELLE DISTANZE TRA EDIFICI RILEVANO ANCHE I BALCONI

Sono infatti esclusi dal calcolo delle distanze solo gli sporti con funzione meramente ornamentale, di rifinitura o accessoria, come mensole, cornicioni, canalizzazioni di gronda e simili.

Cass. civ., sez. II, ord., 21 marzo 2024, n. 7604

Il proprietario di un appartamento sito al quarto piano di un Condominio chiedeva al Tribunale la condanna di una società di costruzioni al ripristino dei luoghi dopo aver edificato un complesso edilizio in violazione delle distanze legali tra costruzioni e in difformità dellapprovato progetto. 
Secondo la società, le due costruzioni non potevano considerarsi frontiste e confinanti a causa della sussistenza di un manufatto interposto.
Il Tribunale rigettava infatti la domanda, decisione confermata poi anche in sede di appello.

Il soccombente ha dunque proposto ricorso in Cassazione e il ricorso è stato accolto.

La S.C. ricorda che lart. 10 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 prescrive che tra pareti finestrate deve essere osservata la distanza di 10 metri, indicando così una caratteristica del fabbricato, «nel senso che quando questo presenta una facciata munita di finestre, il vicino non può costruire a meno di dieci metri da essa. Conseguentemente, ciascun condomino e non i soli proprietari degli appartamenti con vedute site lungo la facciata interessata, è legittimato a esperire lazione per fare valere il rispetto, da parte del vicino, della detta distanza, in quanto tale azione è posta a tutela dellintero edificio».

Inoltre occorre ribadire che «sono esclusi dal calcolo delle distanze solo gli sporti con funzione meramente ornamentale, di rifinitura o accessoria (come le mensole, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili), non anche le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza, specie ove la normativa locale non preveda un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie (Cass. civ. n. 473/2019)».

In conclusione, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte dappello.

SOLO L'AMMINISTRATORE PUO' OPPORSI AL DECRETO INGIUNTIVO EMESSO CONTRO IL CONDOMINIO PER DEBITI DA BENI COMUNI.

Il Collegio, con la sentenza in commento, ribadisce il principio secondo cui «il singolo condomino non ha autonoma legittimazione a proporre opposizione a decreto ingiuntivo emesso a carico del Condominio per i debiti derivanti dalla gestione dei beni comuni, spettando essa unicamente all’amministratore».

Cass. civ., sez. II, sent., 15 marzo 2024, n. 7053

La decisione della Corte viene a seguito di un ricorso presentato da una condomina avverso la sentenza della Corte di Appello che aveva rigettato l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei confronti del Condominio, sull'assunto che «il decreto ingiuntivo era stato emesso nei confronti del Condominio, il quale era l'unico legittimato ad opporvisi e che ai singoli condomini può essere riconosciuta una legittimazione processuale autonoma soltanto nelle controversie in materia di diritti reali concernenti le parti comuni dell'edificio condominiale».

La ricorrente sostiene che «la presenza dell'amministratore non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a tutela dei propri diritti, sicché essi non possono considerarsi terzi rispetto a pretese vantate nei confronti del Condominio. […] Ciascun condomino è legittimato ad impugnare personalmente il provvedimento ingiuntivo emesso nei confronti del Condominio, tanto più nell'inerzia di quest'ultimo».

I Giudici di legittimità ritengono il ricorso privo di fondamento.

A tal proposito il Collegio richiama la sentenza della Cassazione n. 15567 del 2018 secondo cui i singoli condomini non possono proporre opposizione a decreto ingiuntivo emesso nei confronti del Condominio.
A fondamento di ciò vi è la regola per cui «nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo oggetto della domanda è un credito vantato dall'ingiungente nei confronti dell'ingiunto, con la conseguenza che, dal punto soggettivo, le parti del processo possono essere esclusivamente colui che ha proposto la domanda e colui contro cui tale domanda è diretta».
E a questa regola il Condominio non fa eccezione.

Nel caso di specie, il decreto ingiuntivo aveva a oggetto il recupero di somme dovute dal Condominio per lavori effettuati su parti comuni; di conseguenza legittimato all'opposizione era l'amministratore di condominio ex art.1131 c.c. Quanto alla questione se, in questo caso, possa essere riconosciuta una legittimazione autonoma, concorrente o sostitutiva ai singoli condomini, i Supremi Giudici rispondono negativamente.

A sostegno della loro decisione i Giudici richiamano la giurisprudenza che si è consolidata in materia e, secondo cui, «nelle controversie condominiali, la legittimazione ad agire può essere riconosciuta ai singoli condomini solo nel caso in cui la lite investa il diritto degli stessi sulle parti comuni dell'edificio, nei cui confronti il condomino vanta la posizione di comproprietario pro quota e quindi è titolare di una autonoma situazione giuridica soggettiva distinta dal condominio, inteso come soggetto unitario, e dagli altri partecipanti» (Cass. S.U. n. 10934 del 2019).
Al contrario, nel caso in cui la controversia verta su posizioni di natura obbligatoria volte a soddisfare esigenze comuni a tutti i condomini, la legittimazione è del solo amministratore «potendo il singolo condomino svolgere intervento adesivo dipendente, ma non anche proporre impugnazione avverso la sentenza che abbia visto il Condominio soccombente».
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SOLO LAMMINISTRATORE PUO OPPORSI AL DECRETO INGIUNTIVO EMESSO CONTRO IL CONDOMINIO PER DEBITI DA BENI COMUNI.

Il Collegio, con la sentenza in commento, ribadisce il principio secondo cui «il singolo condomino non ha autonoma legittimazione a proporre opposizione a decreto ingiuntivo emesso a carico del Condominio per i debiti derivanti dalla gestione dei beni comuni, spettando essa unicamente all’amministratore».

Cass. civ., sez. II, sent., 15 marzo 2024, n. 7053

La decisione della Corte viene a seguito di un ricorso presentato da una condomina avverso la sentenza della Corte di Appello che aveva rigettato lopposizione al decreto ingiuntivo emesso nei confronti del Condominio, sullassunto che «il decreto ingiuntivo era stato emesso nei confronti del Condominio, il quale era lunico legittimato ad opporvisi e che ai singoli condomini può essere riconosciuta una legittimazione processuale autonoma soltanto nelle controversie in materia di diritti reali concernenti le parti comuni delledificio condominiale».

La ricorrente sostiene che «la presenza dellamministratore non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a tutela dei propri diritti, sicché essi non possono considerarsi terzi rispetto a pretese vantate nei confronti del Condominio. […] Ciascun condomino è legittimato ad impugnare personalmente il provvedimento ingiuntivo emesso nei confronti del Condominio, tanto più nellinerzia di questultimo».

I Giudici di legittimità ritengono il ricorso privo di fondamento.

A tal proposito il Collegio richiama la sentenza della Cassazione n. 15567 del 2018 secondo cui i singoli condomini non possono proporre opposizione a decreto ingiuntivo emesso nei confronti del Condominio. 
A fondamento di ciò vi è la regola per cui «nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo oggetto della domanda è un credito vantato dallingiungente nei confronti dellingiunto, con la conseguenza che, dal punto soggettivo, le parti del processo possono essere esclusivamente colui che ha proposto la domanda e colui contro cui tale domanda è diretta». 
E a questa regola il Condominio non fa eccezione.

Nel caso di specie, il decreto ingiuntivo aveva a oggetto il recupero di somme dovute dal Condominio per lavori effettuati su parti comuni; di conseguenza legittimato allopposizione era lamministratore di condominio ex  art.1131 c.c. Quanto alla questione se, in questo caso, possa essere riconosciuta una legittimazione autonoma, concorrente o sostitutiva ai singoli condomini, i Supremi Giudici rispondono negativamente.

A sostegno della loro decisione i Giudici richiamano la giurisprudenza che si è consolidata in materia e, secondo cui, «nelle controversie condominiali, la legittimazione ad agire può essere riconosciuta ai singoli condomini solo nel caso in cui la lite investa il diritto degli stessi sulle parti comuni delledificio, nei cui confronti il condomino vanta la posizione di comproprietario pro quota e quindi è titolare di una autonoma situazione giuridica soggettiva distinta dal condominio, inteso come soggetto unitario, e dagli altri partecipanti» (Cass. S.U. n. 10934 del 2019). 
Al contrario, nel caso in cui la controversia verta su posizioni di natura obbligatoria volte a soddisfare esigenze comuni a tutti i condomini, la legittimazione è del solo amministratore «potendo il singolo condomino svolgere intervento adesivo dipendente, ma non anche proporre impugnazione avverso la sentenza che abbia visto il Condominio soccombente».

Buona Pasqua dallo Staff dello Studio.

#avvocati, #happyeaster🐣
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