OFFENDERE UNA PERSONA STRORPIANDONE IL COGNOME E’ DIFFAMAZIONE

Salvato dalla prescrizione l’uomo che in una manifestazione pubblica ha così dileggiato il sindaco. Evidente, però, per i Giudici, la condotta diffamatoria da lui tenuta. Confermato il risarcimento in favore della persona offesa.

Cass. pen., sez. IV, ud. 14 ottobre 2021 (dep. 10 gennaio 2022), n. 320

Storpiare il cognome di una persona così da dileggiarla pubblicamente è inaccettabile. Logico parlare di diffamazione. E questa valutazione non può essere messa in discussione dal contesto, ossia dal fatto che l’offensiva presa in giro si sia concretizzata nel contesto di una manifestazione mirata a criticare l’amministrazione comunale.

I fatti

Il fatto si è verificato «nel corso di una manifestazione pubblica» mirata alla «rivendicazione del diritto ad avere un’abitazione nei pressi della farmacia di cui era titolare la persona diffamata, sindaco peraltro Comune». In quell’occasione l’uomo sotto processo «ha indossato un camice bianco su cui aveva appuntato la copia di un distintivo dell’Ordine dei farmacisti, distintivo che però recava, al posto del nome esatto della persona offesa, una scritta» che ne storpiava il cognome e la apostrofava in malo modo.

Per i Giudici di merito è evidente la diffamazione subita dal sindaco. Per questo, l’uomo sotto processo viene condannato a 1.500 euro di multa e a versare 4mila euro alla persona offesa come risarcimento.

La decisione della Cassazione

In particolare, dalla Cassazione spiegano che «deve essere ben chiaro il confine tra la legittima espressione satirica di ludibrio o ironico scherno e, di contro, il disprezzo personale gratuito», e in questa ottica per «apprezzare il requisito della continenza bisogna tener conto del linguaggio essenzialmente simbolico e paradossale della satira, rispetto al quale non si può applicare il metro consueto di correttezza dell’espressione, restando, comunque, fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali dell’individuo, limite che deve ritenersi superato quando la persona pubblica – quale è, nel caso, un sindaco, amministratore locale –, oltre che al ludibrio della sua immagine, sia esposta al disprezzo personale».

Proprio valutando la vicenda, i Giudici sottolineano che ci si trova di fronte a «un chiaro e gratuito epiteto offensivo personale, coinvolgente l’aspetto fisico della persona offesa, costituito dalla storpiatura del suo cognome», e questa valutazione non è messa in discussione dalla constatazione che «la condotta si è collocata» nel contesto di «una legittima manifestazione del diritto di critica alle politiche abitative sviluppate dal Comune», critica espressa dall’uomo sotto processo «partecipando ad una manifestazione pubblica sul tema» anche perché direttamente coinvolto, «avendo la sua famiglia subito uno sfratto», e, dunque, «sicuramente legittimato ad esprimere un dissenso, pur aspro e vibrato, sulle scelte dell’amministrazione comunale in tale ambito». In sostanza, la matrice della condotta tenuta dall’uomo è «senza dubbio lecita», ma egli «ha superato i limiti, anzitutto quanto alla forma espositiva della critica manifestata, poiché definire una persona ‘brutto cesso’, pur se con una finalità latamente satirica e benché ispirandosi ironicamente al suo cognome, non configura l’espressione di un pensiero che, per quanto forte ed offensivo, faccia riflettere sorridendo sul tema in relazione al quale si manifesta la propria idea – come è nell’obiettivo di quella forma di critica peculiare rappresentata dalla satira – ma si risolve nel gratuito insulto spregiativo e nel disprezzo personale». Inoltre, «non può ritenersi che la modalità di satira prescelta fosse inevitabile a definire le proprie idee riguardo ad una questione pure di sicuro e drammatico rilievo quale è il diritto all’abitazione, essendo l’offesa all’aspetto fisico della vittima del tutto scollegata dall’oggetto della critica», aggiungono i Giudici.

A salvare l’imputato dalla condanna per diffamazione, è la prescrizione, che però non cancella il suo obbligo di risarcire il sindaco da lui offeso, versandogli 4mila euro.

Contattate l’avvocato Francesco Pavan ai recapiti dello Studio che trovate a questo link Contatti Studio per avere maggiori informazioni e analizzare il vostro caso.
Avv. Francesco Pavan