SI PUO’ FUMARE SUL LUOGO DI LAVORO ?? COSA SAPERE

Nel caso in cui un dipendente contravvenga al divieto di fumo durante le ore di lavoro e tale condotta sia qualificata come giusta causa di licenziamento dal contratto collettivo applicato nell’azienda datrice di lavoro, il Giudice non è vincolato dalle previsioni del CCNL ma può escludere che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa per il licenziamento in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.

Questo è quello che ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con la sentenza n. 12841/20 del 26/06/2020

I Fatti

Ad un lavoratore, che aveva contravvenuto al divieto di fumo durante l’orario di lavoro concedendosi una sigaretta in un’intercapedine dei locali della ditta datrice di lavoro, veniva intimato il licenziamento per giusta causa.

Mentre il Tribunale aveva ritenuto legittimo il licenziamento, la Corte d’Appello aveva accolto la domanda di annullamento dello stesso, rilevando che in luogo del licenziamento fosse da erogare la sanzione conservativa dell’ammonizione o della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

Contro la decisione propone ricorso in Cassazione la società datrice di lavoro, lamentando che:

  • per il CCNL (contratto collettivo nazionale) applicato in azienda (nella specie, pulizia-servizi integrati-multiservizi), il divieto di fumare è inderogabile e la clausola contrattuale richiede che il pregiudizio all’incolumità delle persone e alla sicurezza sia anche solo potenziale.

La Decisione

La Cassazione, ritenendo infondato il motivo, rileva che la Corte territoriale ha valutato sia il profilo soggettivo che oggettivo della condotta e ha osservato che il lavoratore è stato trovato intento a fumare in uno spazio privo di attrezzature pericolose e ha ritenuto di escludere la ricorrenza dei requisiti costitutivi della fattispecie contrattuale punita con il licenziamento, non potendosi ritenete integrato un pericolo alla salute derivante dalla combustione della sigaretta.

Pertanto, la Suprema Corte ritiene coretto il percorso logico giuridico seguito dalla sentenza impugnata, poiché rispettoso dei principi per cui “in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali”

La congruità o meno del licenziamento va esaminata non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, ovvero:

  • gravità della condotta;
  • previsione del CCNL;
  • intensità dell’elemento intenzionale;
  • al grado di affidamento richiesto dalle mansioni;
  • alle precedenti modalità di attuazione del rapporto;
  • alla durata del rapporto in essere;
  • all’assenza di pregresse sanzioni;
  • alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo.

Considerato come si sono svolti i fatti e analizzando la situazione nel suo complesso, il ricorso del datore di lavoro viene respinto

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Avv. Francesco Pavan.

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