La conservazione degli alimenti, anche quelli imbottigliati, è regolata dannorme rigide stabilite per la tutela della salute pubblica, che possono comportare condanne penali se violate.
E’ necessario adottare idonei sistemi di stoccaggio, anche se per brevi periodi.
Definitiva l’ammenda di 1.500 euro nei confronti del titolare di una rivendita nella zona di Messina.
Secondo i Giudici, l’uomo ha detenuto in cattivo stato di conservazione alcune confezioni d’acqua destinate alla vendita, sistemandole temporaneamente su un piazzale e lasciandole d’estate, in pieno giorno, esposte ai raggi solari e al caldo.
(Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 39037/18; depositata il 28 agosto)
A finire sotto processo è il titolare di un’azienda di bibite per «avere detenuto per la vendita, in cattivo stato di conservazione, più confezioni di acqua, collocandole nel piazzale antistante l’immobile, esponendole alla luce del sole».
A rendere ancor più grave l’episodio, poi, il fatto che si sia verificato in piena estate – a fine giugno, per la precisione – e, osservano i magistrati, «in una zona notoriamente calda come la Sicilia».
Tutti gli elementi a disposizione convincono i giudici del Tribunale a condannare il titolare del negozio, punendolo con «un’ammenda di 1.500 euro» per avere violato la “Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”.
I Giudici della Cassazione ritengono innanzitutto che «il reato si concretizza anche senza l’effettivo accertamento del danno al bene protetto», ciò perché «la detenzione in cattivo stato di conservazione» di sostanze alimentari destinate alla vendita «è configurabile quando si accerti che le concrete modalità della condotta siano idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento, senza che rilevi a tal fine la produzione di un danno alla salute, attesa la sua natura di reato a tutela del cosiddetto ordine alimentare, volto ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura».
Poi, analizzando la vicenda nei dettagli, è indiscutibile che «il divieto di esporre le bottiglie di acqua alla luce o al calore del sole con riferimento a contenitori, come quelli in vetro, non suscettibili di subire modificazioni a seguito del contatto con luce o calore, è una cautela generale che aveva sconsigliato di esporre per un tempo significativo le bottiglie (e i contenitori) di acqua alla luce e al calore del sole.
Ciò in quanto l’acqua è un prodotto alimentare vivo e come tale è soggetta a subire modificazioni allorché è isolata dal suo ambiente naturale e forzata all’interno di contenitori stagni che impediscono i normali interscambi che avvengono fra l’acqua, l’aria, la luce e le altre forme di energia e che modificano le relazioni che in natura l’acqua conosce allorché viene sottoposta ad aumento di temperatura o ad esposizione continua ai raggi del sole».
E, sempre in questa ottica, «si è affermato che la conservazione di bottiglie di acqua minerale in contenitore PET all’aperto ed esposto al sole configura la contravvenzione dalla legge numero 283 del 30 aprile 1962, atteso che l’esposizione, anche parziale, di prodotti destinati al consumo umano alle condizioni atmosferiche esterne, tra cui l’impatto con i raggi solari, può costituire potenziale pericolo per la salute dei consumatori, in quanto sono possibili fenomeni chimici di alterazione dei contenitori e di conseguenza del loro contenuto».
Nessun dubbio, quindi, sulla colpevolezza del titolare della rivendita, poiché è stato appurato, osservano i giudici, che «le confezioni di acqua minerale erano accatastate alla rinfusa all’esterno del deposito ed esposte alla luce nel sole, in periodo estivo, in pieno giorno, in una zona notoriamente calda come la Sicilia».
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Avv. Francesco Pavan