Se il creditore comunica a terzi l’inadempimento del debitore, viola il codice della Privacy.

In tema di trattamento dei dati personali, di cui al d.lgs. n. 196/2003, integra una violazione del diritto alla riservatezza e dell’art. 11 del cit. codice privacy, il comportamento di un creditore il quale, nell’ambito dell’attività di recupero credito, svolta direttamente ovvero avvalendosi di un incaricato, comunichi a terzi (familiari, coabitanti, colleghi di lavoro o vicini di casa), piuttosto che al debitore, le informazioni, i dati e le notizie relative all’inadempimento nel quale questo versi oppure utilizzi modalità che palesino a osservatori esterni il contenuto della comunicazione senza rispettare il dovere di circoscrivere la comunicazione, diretta al debitore, ai dati strettamente necessari all’attività recuperatoria.

(Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 18783/21; depositata il 2 luglio)

I fatti

Nel caso in esame la ricorrente aveva convenuto in giudizio il Ministero degli affari Esteri e della Cooperazione Internazionale per sentirlo condannare al risarcimento dei danni stante la violazione del combinato disposto di cui agli artt. 15 d.lgs. n. 196/03 e 2050 c.c. per aver inviato corrispondenza destinata alla stessa presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del plesso scolastico ove svolgeva la propria attività lavorativa. Il Tribunale, dato atto che le comunicazioni personali possono essere inviate nel luogo di lavoro solamente dopo vari infruttuosi tentativi presso la residenza e/o il domicilio, aveva accolto la domanda riconoscendo l’illiceità della comunicazione e condannando il Ministero al risarcimento del danno.

Il Ministero, nel ricorso per Cassazione, aveva rilevato che la diffida volta alla dipendente costituiva “un provvedimento datoriale di competenza del Dirigente scolastico ex art. 25, quarto comma, del D. Lgs. n. 165/2001” il quale prevede che nell’ambito delle funzioni attribuite alle istituzioni scolastiche spetta al dirigente l’adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse del personale.

La decisione della Cassazione

La Corte, in primo luogo, ha osservato che l’Autorità per la protezione dei dati personali, con provvedimento del 30 novembre 2005, ha avuto modo di prescrivere che l’attività di recupero crediti di svolga, a cura del creditore, nel rispetto dei principi di liceità, correttezza e pertinenza fissati dall’art. 11, comma 1, d.lgs n. 196/03. Detto provvedimento è stato adottato per contrastare alcune prassi, molto invasive, finalizzate al recupero stragiudiziale delle somme dovute. Non è possibile comunicare a terzi lo stato in cui versi il debitore nel tentativo di prendere contatto con lui come, ad esempio, indicare sull’esterno della busta la dicitura “recupero crediti”.

Possono formare oggetto di trattamento i soli dati necessari all’esecuzione dell’incarico, con particolare riferimento ai dati anagrafici riferiti al debitore, codice fiscale (o partita iva), ammontare del credito vantato (e delle condizioni di pagamento) e i recapiti forniti dall’interessato o comunque accessibili dai pubblici registri. In applicazione dei richiamati principi la Corte ha rigettato il ricorso ritenendo illecito sia l’invio della comunicazione presso la PEC dell’istituto scolastico ove lavorava la debitrice sia la richiesta dei dati relativi all’emolumento, finalizzata a esperire la procedura esecutiva, in quanto tale avrebbe dovuto contenere i dati strettamente necessari a tal fine senza illustrare l’intera vicenda.

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Avv. Francesco Pavan