Il lavaggio degli indumenti di lavoro è a carico del Datore di Lavoro

Il lavaggio degli indumenti di lavoro è a carico del Datore di Lavoro.
Nella categoria dei D.P.I. è inclusa qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore; ne consegue l’obbligo di parte datoriale di continua fornitura e di mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria dei D.P.I.
Cass. civ., sez. lav., ord., 17 aprile 2023, n. 10128

I fatti

La Corte di Appello di Cagliari, riformando la pronuncia di primo grado, rigettava la domanda proposta da un operatore ecologico tesa ad ottenere il «risarcimento dei danni da inadempimento datoriale all’obbligo di lavaggio e manutenzione (degli indumenti di lavoro in quanto) dispositivi di protezione individuale (D.P.I.)».
In particolare, nell’avviso della Corte di merito, sul presupposto che gli indumenti in questione non «potessero svolgere una funzione protettiva», detti indumenti risultavano non inquadrabili nella categoria dei D.P.I., trattandosi invero di «indumenti di lavoro ordinari […] non specificatamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore» ai sensi dell’art. 40 d.lgs. n. 626/1994, poi sostituito dall’art. 74 d.lgs. n. 81/2008 (che ne ricalca interamente il testo).
Contro tale pronuncia il lavoratore ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi.

La decisione della Cassazione

In particolare, e per quanto qui interessa esaminare, il ricorrente si doleva della violazione, inter alia, degli artt. 2087 c.c. e 40 d.lgs. n. 626/1994, per avere i Giudici di merito erroneamente ritenuto che «gli indumenti forniti ai lavoratori per lo svolgimento della prestazione non avessero alcuna funzione protettiva e quindi non potessero essere classificati D.P.I.». Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, accoglie il ricorso.
La Cassazione, in continuità con l’indirizzo (già) espresso dalla medesima Corte (cfr. Cass. n. 16749/2019, Cass. n. 17132/2019, Cass. n. 17354/2019), statuisce che «la nozione legale di D.P.I. non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l’art. 2087 c.c.»; ciò, «a prescindere dalla espressa qualificazione in tal senso da parte del documento di valutazione dei rischi, (nonché) delle fonti contrattuali collettive».
Conseguentemente, il datore di lavoro è tenuto alla «continua fornitura e mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria dei D.P.I.». In particolare, secondo la giurisprudenza di legittimità, il suddescritto obbligo sussiste a fronte dell’«idoneità, seppur minima, dei (D.P.I.) di ridurre i rischi legati allo svolgimento dell’attività lavorativa, costituendo specifico obbligo datoriale quello di porre in essere tutte le misure necessarie per garantire la salute e sicurezza dei lavoratori e quindi per prevenire, con specifico riferimento agli operatori ecologici, l’insorgere e la diffusione di infezioni in danno dei medesimi e dei loro familiari, a cui il rischio si estenderebbe in caso di lavaggio degli indumenti da lavoro in ambito domestico».
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Avv. Francesco Pavan
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