E’ 34 anni il limite per il mantenimento del figlio disoccupato?
Richiamando la precedente giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, la Corte di Cassazione, ribadita comunque la necessità di procedere caso per caso alla valutazione, ha annullato il provvedimento che riconosceva alla figlia ultraquarantenne il mantenimento da parte del padre.
Cass. civ., sez. I, ord., 10 gennaio 2023, n. 358
I fatti
Il padre, protagonista della vicenda giunta fino in Cassazione, agiva al fine venisse dichiarata la cessazione del suo obbligo di mantenimento nei confronti della figlia ultraquarantenne, esponendo come la stessa non avesse in alcun modo tentato di reperire alcuna attività lavorativa.
Il Tribunale rigettava la domanda, la Corte d’appello il relativo reclamo e il padre veniva condannato anche al pagamento nei confronti della madre delle somme dovute e non corrisposte sempre a titolo di mantenimento della figlia prima dell’accertamento, intervenuto nel 2016, del rapporto di filiazione, anno in cui la stessa aveva già compiuto il trentaseiesimo anno.
L’uomo, ormai anziano, ricorreva quindi per la cassazione del provvedimento denunciando come la Corte territoriale avesse omesso ogni motivazione con riferimento all’avanzata età della figlia.
La decisione della Cassazione
A fondamento della propria istanza, richiamava alcune precedenti sentenze, sia di merito che legittimità, tra le cui prime se ne rinvengono alcuni che hanno tentato di individuare il ragionevole limite di tempo oltre il quale il figlio maggiorenne nulla può più pretendere circa il mantenimento.
In quelle sedi si individuò tale età presuntiva nei 34 anni, ritenendo che oltre tale termine lo stato di non occupazione del figlio non può essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, dovendosi ritenere che, da quel momento in poi, il figlio potrà, semmai, avanzare le pretese riconosciute all’adulto.
Sempre una sentenza di merito, del Tribunale di Modena, aveva poi stabilito il principio in base al quale il figlio che abbia raggiunto i 34 anni debba lasciare l’abitazione materna, anche se non pienamente autosufficiente.
La Cass. civ. n. 22314/2017 confermava invece la revoca di un mantenimento a una figlia 35enne disoccupata e con piena capacità lavorativa.
Secondo quanto prospettato dal ricorrente, e riportando le parole della Suprema Corte, «la preclusione su fatti preesistenti al giudizio di revisione riguarderebbero solo la loro dimensione statica e non anche quella dinamica, la quale imporrebbe di tenere conto degli effetti che detti stessi fatti possano aver prodotto in epoca successiva alla determinazione dell’assegno di mantenimento».
Proprio con riferimento all’età della figlia, «detto incremento anagrafico, rispetto alla pronuncia della Corte d’appello de L’Aquila, depositata nel 2016 ma posta in deliberazione nell’ottobre 2015, e riguardante fatti intercorsi tra il 2003 (momento di proposizione della domanda) ed il 2015, sarebbe un fatto naturalmente dinamico, in quanto idoneo a fondare l’invocata revoca dell’obbligo di mantenimento».
In caso contrario si arriverebbe ad affermare un obbligo di mantenimento a vita gravante sui genitori nei confronti di un figlio adulto e pure abile al lavoro.
Le doglianze dell’anziano padre sono state ritenute fondate dalla Suprema Corte, che ricorda come, ai fini del riconoscimento di un mantenimento nei confronti dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il giudice deve operare una valutazione casistica utilizzando «criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari» tenendo sempre a mente che «tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura».
Il ricorso viene accolto e il provvedimento impugnato cassato con rinvio alla Corte d’appello.
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Avv. Francesco Pavan